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(WSI) – Siamo nel campo delle scommesse o della realtà? Fiat vale oltre 7,3 euro? È un prezzo che rispecchia i valori fondamentali del gruppo o è il frutto di un miraggio? La spaccatura è netta: i pessimisti dicono no, gli ottimisti oppongono un sì. I primi parlano di speculazione; i secondi sono pronti a credere nel rilancio del Lingotto targato Punto.
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Resta il fatto che il rally di Borsa della Fiat ha portato benefici importanti ai principali attori che ruotano attorno al rilancio del Lingotto. La quotazione è balzata di quasi il 20% in poco più di un mese, del 60% dai minimi toccati a metà aprile, mentre gli scambi a Piazza Affari hanno visto passare di mano oltre l’85% del capitale ordinario in sette settimane.
Un interesse che né la Fiat né i soci Ifil e Giovanni Agnelli & C né le banche del convertendo hanno saputo spiegare. Interpellati dalla Consob, hanno risposto con una valanga di note stampa che hanno ribadito un unico ritornello: «Non abbiamo elementi che giustifichino l’andamento del titolo».
Tuttavia, una cosa è certa: la bagarre a Piazza Affari ha consentito alle banche del convertendo e alla Ifil (primo azionista di Mirafiori) di alzare i calici e brindare. Grazie all’improvviso exploit, gli otto istituti hanno visto sensibilmente ridurre le minusvalenze implicite (da -38% a -28%) che emergeranno il prossimo 20 settembre al momento della conversione in azioni del prestito da 3 miliardi. Minusvalenze che, peraltro, sarebbero già diminuite grazie alla forte attività delle banche sul mercato dei derivati.
In circolazione ci sono ormai oltre 450mila contratti di put e call su Fiat. Ciascuna opzione vale 500 azioni del Lingotto. Complessivamente si tratta perciò di 226milioni di titoli, pari al 28% del capitale ordinario di Mirafiori (per avere un paragone, basti dire che sulle Generali – il titolo più gettonato dalla speculazione professionale – risultano aperte posizioni sul 3,3% del capitale). Quanto alla Ifil, tanto più alto sarà il prezzo della Fiat al momento della conversione del prestito in azioni tanto minore sarà il numero di titoli che verrà emesso. Di conseguenza, più contenuta sarà la diluizione della cassaforte di casa Agnelli nel capitale del Lingotto. Niente male per essere una semplice scommessa giocata in una fase in cui non si vede ancora la luce in fondo al tunnel.
Da aprile a oggi i segnali positivi nei conti sono stati la conseguenza di una feroce politica di taglio dei costi, non di un ritorno alle vendite di auto. Il comparto ha vissuto piuttosto un’ulteriore contrazione della propria quota di mercato: tra gennaio e giugno è scesa in Europa al 6,6% dal 7,7% dell’anno precedente. Nonostante ciò, l’azzardo Fiat ha permesso all’amministratore delegato, Sergio Marchionne, di veder tornare le azioni a livelli che il titolo non toccava dal 2003 e inoltre di incamerare una piccola plusvalenza implicita. (Come è noto, il 18 aprile di quest’anno ha acquistato 220mila Fiat ordinarie a 4,6 euro sborsando poco più di 1 milione di euro: da allora il valore della partecipazione è cresciuto a 1,6 milioni).
Nel mentre, la Fiat, sempre grazie a Marchionne e all’incontro tenuto lo scorso 8 luglio a Mediobanca con alcuni fondi, è tornata anche nei portafogli dei grandi investitori istituzionali. Brahman, il noto hedge fund americano, avrebbe già messo in cassa quasi il 2%: poco meno del 5% se si considerano i derivati. Come lui anche altri operatori specializzati avrebbero preso posizione sul Lingotto attirati dal fatto che è «l’unica e la più importante storia di ristrutturazione europea».
Perché la scommessa Fiat gira attorno anche a un perno «industriale»: il lancio della Punto, ossia la speranza che si realizzi il turnaround del comparto auto. Una svolta che solo il successo del nuovo modello potrà garantire ma sulla quale alcune banche d’affari, in particolare Mediobanca, Citigroup e Sal Oppenheim, credono fortemente. Per questo sono pronte a scommettere con decisione che Torino vale più di 7,3 euro. Citigroup, pur ribadendo che Fiat «è un investimento riservato ai coraggiosi», mantenendo a hold la raccomandazione ha portato il prezzo obiettivo da 6 a 8 euro (+33%) e assegnato all’auto un valore di 3,1 euro per titolo.
Mediobanca ha individuato un target a 8 euro, di cui 2,5 euro sarebbero rappresentati proprio dal comparto più sofferente, che quest’anno dovrebbe chiudere i conti con un risultato della gestione ordinaria in rosso per circa 300 milioni contro gli 840 milioni dell’anno precedente. La stessa Oppenheim ha portato il rating a neutral e il target a 7,4 euro in vista del lancio a settembre della nuova vettura di categoria B.
L’auto della speranza, tuttavia, per essere il motore della svolta, dovrà centrare le stime di vendita. L’obiettivo-Marchionne è mettere in strada almeno 360mila Punto all’anno e questo, almeno nei primi 12 mesi, pur avendo ancora la vecchia Punto negli autosaloni, con il rischio quindi di una cannibalizzazione tra versioni diverse. Il target, in ogni caso, non sembra particolarmente aggressivo: il vecchio modello veniva commercializzato in circa 500mila esemplari l’anno. L’intera scommessa gira dunque attorno alla domanda che Citigroup pone in testa al report: «Vale la pena acquistare una Punto?».
Sarà il mercato a rispondere e solo allora si saprà se l’auto vale i 3,9 miliardi stimati dalla banca americana, piuttosto che i 3 miliardi proposti da Mediobanca in funzione delle vendite 2006. Insomma, se per Fiat sarà l’eureka o se si è trattato soltanto di un miraggio estivo.
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ISTITUTI AL 27%, FAMIGLIA AL 22%, MA I GIOCHI SONO ANCORA DA FARE
IL CONVERTENDO
Un prestito da 3 miliardi di euro che tra poco meno di un mese si trasformerà in azioni Fiat, rivoluzionando l’azionariato dello storico marchio di automobili. Il 15 di settembre il consiglio di amministrazione del Lingotto delibererà un aumento di capitale per complessivi 3 miliardi, tra valore nominale e sovrapprezzo, funzionale alla conversione in titoli del finanziamento datato settembre 2002 e sottoscritto da otto istituti bancari. Il valore di emissione delle nuove azioni sarà pari alla media aritmetica tra 14,4409 euro e quella ponderata dei prezzi ufficiali di Borsa nei sei mesi precedenti. Allo stato attuale i titoli dovrebbero venire emessi attorno a 10,2 euro. Le azioni saranno sottoscritte dalle banche finanziatrici (capofila sono Banca Intesa, Unicredit, Sanpaolo Imi e Capitalia) il 20 settembre.
Contemporaneamente gli istituti avranno l’obbligo di offrire i titoli «nati» dalla conversione in opzione ai soci Fiat possessori sia di azioni ordinarie che privilegiate e risparmio. Volendo, le banche potrebbero anche decidere, stando a un parere dello studio Chiomenti, di offrire i titoli in opzione a un prezzo inferiore rispetto a quello di sottoscrizione. Un valore, magari, più vicino ai corsi di Borsa considerato che, allo stato attuale, la differenza tra prezzo di conversione e quotazione del titolo è del 28%. Percentuale che si è ridotta sensibilmente rispetto al 38% di un mese fa, proprio grazie al rally a Piazza Affari di Fiat.
Quanto al nuovo azionariato, è stimata l’emissione di 290 milioni di azioni ordinarie. Valore che porterà il capitale con diritto di voto a 1,093 miliardi di titoli ordinari. Di questi il 27% finirà nelle mani degli istituti di credito mentre Ifil si diluirà dall’attuale 30,1% al 22%. È possibile che la finanziaria di casa Agnelli decida, nelle prossime settimane, di arrotondare la propria partecipazione proprio per evitare un’eccessiva diluizione (L.G.)
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