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Minzolini affossa il TG1. Crolla l’audience mentre sale Mentana

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(WSI) – L’uno sale e l’altro scende, Enrico Mentana tocca il record positivo di ascolti e Augusto Minzolini quello negativo, il primo giganteggia con la normalità e il secondo si nanifica con la propaganda. Sono gli esiti opposti di due vite parallele e forse ci vorrebbe un Plutarchino per spiegare la discesa dell’uno e la salita dell’altro, il tonfo di Minzolini, che voleva imprigionare il potere e ne è prigioniero, e il successo di Mentana, che è stato allevato nelle corti e nei palazzi, ma è riuscito a non cantare né le corti né i palazzi.

Di sicuro la fuga dal Tg1 al Tg7 è già la moda dell’autunno-inverno e in fondo è vero che per capirla basta guardare e confrontare il telegiornalismo che vela con il telegiornalismo che svela. Per principio, Minzolini infratta i guai di Berlusconi, dal caso Mills alla Mignottocrazia alla grande crisi del centrodestra, è l’evoluzione antropologica del Rossella che su ‘Panoramà gli faceva l’editing tricologico: quello gli nascondeva la calvizie e questo gli nasconde gli affanni. Poi, però, con ingenua ed appassionata riverenza Minzolini difende il capo e commenta, imbronciato, le vicende che non racconta.

Mentana invece non nasconde nulla ma non prende posizione, presenta tutti i fatti ma non ne commenta nessuno. Prendete l’immagine di Fini che alza e agita il dito dicendo a Berlusconi: “Che fai, mi cacci?”. Non c’è dubbio che quel quadretto racchiude e persino spiega la vicenda politica che stiamo vivendo
e, comunque lo si voglia leggere, ha persino un profumo di poesia. Ebbene, Mentana, quasi con indifferenza, l’ha mostrato mille volte, ha fatto un tormentone di una scena che Minzolini non ha mandato in onda ma ha deplorato e condannato. Mentana vuole mostrare e non dimostrare, Minzolini pretende di dimostrare senza mostrare.

Mentana è sempre stato convinto che “il giornalismo migliore è come lo Stato migliore di Churchill, quello che non si vede”, con il paradosso che senza grandi inviati né mezzi tecnici né tante immagini di repertorio, oggi occupa tutta la scena pretendendo di mettersi dietro la scena, allena i fatti come si fa con gli atleti, ha la sapienza di descriverli, la visione politica per organizzarli, l’agilità di arrampicarsi su di essi ma senza mai appendervi un pensiero forte e limpido che forse non ha.

È un bel giornalismo, certo. Ma è Minzolini che lo rende fenomeno. All’opposto di Mentana infatti Minzolini è diventato la caricatura del direttore autorevole e austero, si fa riprendere davanti a una montagna di libri che non ha letto e neppure pratica, indossa abiti firmati con la disinvoltura e il fisico di un bagnino e subito si capisce che, nonostante il sussiego pomposo o forse proprio per quello, è ancora il romanaccio che i cronisti di Montecitorio con delicata acidità chiamavano ‘er coatto’, e non solo per il dialetto, per le giacche a quattro bottoni, per le auto, la palestra e le belle squinzie, ma anche perché il suo era un giornalismo appunto di periferia, vissuto ai margini, dietro un muro, sotto un tavolo, a ingigantire sfondi e scorci, a decifrare gli spifferi.

Il punto è che a Mentana riesce oggi quel che Minzolini sognava di fare ieri, quando era il migliore nel razzolare fuori campo e collezionare cianfrusaglie, quando alzava i tappeti per aspirarne la polvere. Mentana impagina un giornale completo, ingrandisce i dettagli, fa parlare i veri protagonisti di giornata e, certo, li mette a loro agio ma non li serve come fa, per esempio, Bruno Vespa. È affidabile perché gli spettatori “sentono” che modi e tempi della professione non sono dettati dai funzionari del berlusconismo e della politica. Mentana fornisce i documenti che gli altri nascondono o manipolano. Tutti sanno che non è neutrale, ma obliquo, sghembo e che rischia l’ipocrisia pur di essere trasversale. E infatti dell’ormai famosa intervista a Fini anche Il Giornale ha apprezzato l’irritazione sulla casa di Montecarlo:”Pure lei, Mentana, fa Novella Tremila?”.

Gli editoriali di Minzolini invece, che vorrebbero essere fragorose e roboanti difese di Berlusconi, finiscono con il somigliare alle parodie comiche e sembra quasi di sentire ancora il vecchio intercalare del coatto di Montecitorio: “v’o dico cò franchezza..”. E difatti in quella babele di portavoce che servono Berlusconi come tanti interruttori qualcuno mi dice che “Minzolini perde ascolti non perché è berlusconiano ma perché non è televisivamente bravo”; e che il telespettatore, anche quello di centrodestra, percepisce solo il furore entusiasta del soldato goffo e primitivo; e che non basta essere la voce del potere per dare potere a una voce; e che la direzione del Tg1 gli serve per vivere da grand’uomo… e insomma, “si vede che il direttorissimo gode troppo di se medesimo”.

E aggiunge un dettaglio che è un’esegesi dell’eccesso minzoliniano: “Quel che più lo fa soffrire è il non far parte degli irriducibili che contano, Feltri Belpietro e Sallusti, quelli che ormai neppure Berlusconi riesce a domare”. Azzardiamo dunque una previsione: nel centrodestra che fermenta e prende già l’odore scorante di materia in decomposizione e di roba smessa, presto anche la fanfara Minzolini cercherà di dare la linea a Berlusconi. Per vincere dunque la battaglia d’autunno e diventare persino un eroe del giornalismo libero, Mentana deve solo continuare così. È la anormalità del Tg1 che lo fa somigliare al protagonista del disperato erotico stomp di Lucio Dalla:”Ma l’impresa eccezionale / dammi retta è essere normale”.

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