Economia

MES, Tesoro favorevole alla ratifica ma la maggioranza prende tempo

Si fa sempre più acceso lo scontro sul MES, che rischia di aprire fratture nella maggioranza di governo. Nonostante le continue critiche della premier Meloni, il ministro dell’economia Giorgetti ha inviato alla commissione Esteri della Camera un parere in cui sostiene la ratifica del Mes. Il testo base del disegno di legge per la ratifica è stato approvato oggi dalla stessa commissione, in assenza di tutti i deputati della maggioranza.

Ora la proposta dovrà passare alla commissione Bilancio per un parere. Successivamente il ddl tonerà alla commissione Esteri, dove verrà votato il mandato al relatore. Infine, il 30 giugno, è previsto l’approdo alla Camera per l’ok definitivo. Ricordiamo che l’’Italia è l’unico Paese a non avere ancora dato la propria approvazione alla riforma.

Tuttavia, una ratifica potrebbe convenire all’Italia per salvaguardare l’elevato indebitamento pubblico del Paese e non sottoporre a speculazione i titoli di Stato, oltre ad agevolare alcune nomine in ruoli chiave a livello europeo, come quella di Daniele Franco alla guida della Banca europea degli Investimenti.

Cos’è il MES e cosa fa

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (European Stability Mechanism il nome originale) è un organismo istituito nel 2012 mediante un trattato intergovernativo, con la funzione di prestare assistenza agli Stati in difficoltà finanziaria, a fronte del rispetto di precise condizioni.

Il MES, chiamato anche “fondo salvastati”, è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 20 Ministri delle finanze dell’area dell’euro, che assumono all’unanimità tutte le principali decisioni, inclusi i prestiti di fondi a un membro dell’organismo.

La dotazione del MES

Il MES ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 miliardi sono stati versati e i suoi azionisti sono gli stessi Paesi della zona euro; la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi.

L’Italia ha sottoscritto il capitale del MES per 125,3 miliardi, che ne fanno il terzo socio dopo Germania e Francia, versandone oltre 14. I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi Paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono quindi porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza.

L’arrivo della pandemia ha indotto gli Stati a modificarlo, introducendo altri 240 miliardi da usare per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Al momento, è stato applicato a sostegno di Irlanda, Portogallo, Cipro, Spagna e Grecia per un totale di 295 miliardi. In cambio di questi prestiti è previsto un programma di controllo del debito.

Gli strumenti a disposizione del MES

Per concedere assistenza ai paesi in difficoltà il MES ha a disposizione fondamentalmente due strumenti, che prevedono condizioni più o meno stringenti in base alla situazione economico-finanziaria dello Stato richiedente.

Il primo consiste in linee di credito precauzionali (Precautionary Conditioned Credit Line, PCCL), destinate a destinate a Paesi in condizioni economiche e finanziarie fondamentalmente sane ma colpiti da shock avversi, per le quali sono previste condizioni meno severe.

Il secondo strumento riguarda invece la concessione di prestiti a Paesi con squilibri macroeconomici eccessivi e problemi di stabilità finanziaria (Enhanced Conditions Credit Line, ECCL). In questo caso vengono richieste condizioni più rigide, nella forma di un programma di aggiustamento macroeconomico da specificarsi in un apposito memorandum (con la riforma in corso sarebbe sufficiente una lettera di intenti del Paese richiedente).

La riforma del MES

A partire dal 2017 in sede europea si è iniziato a discutere di una possibile revisione del trattato istitutivo. La discussione si è conclusa il 27 gennaio 2021 con la firma da parte di tutti i Paesi dell’area Euro tranne Italia e Germania.

In particolare, la proposta di riforma interviene sulle condizioni necessarie per la concessione di assistenza finanziaria e sui compiti svolti dal MES in tale ambito, introducendo modifiche di portata complessivamente limitata.

La riforma non prevede alcun meccanismo automatico di ristrutturazione dei debiti sovrani, né affida al MES compiti di sorveglianza macroeconomica. Le verifiche preliminari sulla sostenibilità del debito verranno condotte con un “margine di discrezionalità sufficiente”, mentre il coinvolgimento del settore privato nella ristrutturazione del debito rimarrà strettamente circoscritto a casi eccezionali.

La riforma, inoltre, attribuirebbe al MES una nuova funzione, quella di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF) nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie. In sostanza, se il SRF esaurisce i fondi a disposizione, il MES potrà prestare le risorse necessarie, contribuendo a contenere i rischi di contagio tra istituti di credito.

La ratifica della riforma sul MES e i dubbi del governo Meloni

Dopo la firma della Germania a dicembre 2022, l’Italia resta l’unico Paese dell’area euro a non aver ancora approvato definitivamente la riforma del Mes (esclusa la Croazia che ha fatto il suo ingresso nell’eurozona il 1° gennaio 2023).

La revisione del fondo salvastati richiede tuttavia l’unanimità, il che mette l’attuale governo di centrodestra in una posizione scomoda. I partiti della maggioranza, infatti, hanno ripetutamente criticato il MES a causa dei suoi requisiti, ritenuti troppo stringenti, e del suo status di creditore privilegiato, che prevede una priorità nella restituzione dei fondi rispetto ad altri soggetti. Un’approvazione della riforma potrebbe dunque essere interpretata negativamente dall’elettorato di centrodestra.

Dall’altro lato, la mancata ratifica farebbe naufragare la riforma del MES e isolerebbe l’Italia nei confronti degli altri Paesi dell’eurozona. Un rischio elevato per l’esecutivo, sotto i riflettori di Bruxelles soprattutto a causa dell’elevato debito pubblico dell’Italia (2.77 miliardi a febbraio), pari a oltre il 144% del Pil alla fine del 2022.

Lo scenario macro: tassi in aumento e inflazione elevata

Le polemiche sul MES si inseriscono in uno scenario di continuo inasprimento monetario da parte della Bce, che peggiora le condizioni di finanziamento sul mercato. Un problema soprattutto per Paesi già ampiamente indebitati, come l’Italia, chiamati per di più a far fronte al rallentamento della crescita, al perdurare della crisi energetica e alla persistente inflazione.

La Bce ha alzato ancora i tassi di 25 punti base a giugno, portando il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali al 4,25%. In base alle proiezioni macroeconomiche di giugno, gli esperti dell’Eurosistema si attendono che l’inflazione complessiva si attesti in media al 5,4% nel 2023, al 3,0% nel 2024 e al 2,2% nel 2025, quindi il riavvicinamento al target del 2% è previsto solo fra due anni.

Ridurre il rapporto debito/Pil resta la priorità

In questo scenario, l’obiettivo fondamentale per l’Italia rimane quella di ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil, anche al fine di migliorare la percezione nei confronti degli investitori e poter accedere agli strumenti di sostegno a livello comunitario (eventualmente anche al MES).

Il debito pubblico italiano, in proporzione il più alto della zona euro dopo quello greco, è previsto nel Def al 142,1% del Pil nel 2023. Successivamente è stimata una progressiva discesa al 141,4% nel 2024, al 140,9% nel 2025 e al 140,4% nel 2026. Per quanto riguarda il Pil, è attesa una crescita dello 0,9% nel 2023.

La chiave resta quella di attuare riforme e garantire condizioni adeguate ad incentivare la crescita, piuttosto che limitarsi a soffocare gli Stati con politiche di austerity volte solo a ridurre l’indebitamento.

Un assist dall’inflazione per ridurre il debito

In tale contesto, c’è poi da valutare l’impatto dell’inflazione, che si esprime attraverso diversi canali. Da un lato, un aumento inatteso dei prezzi aumenta il gettito fiscale; tuttavia, in Italia, per il 2022, questo effetto è stato compensato dallo stanziamento di fondi a famiglie e imprese per contrastare il caro energia.

Ma l’aumento dell’inflazione migliora i conti pubblici anche in un altro modo, ovvero erodendo il valore reale del debito pubblico in circolazione; a causa dell’inflazione, infatti, 100 euro rimborsati a scadenza hanno un valore inferiore rispetto a 100 euro presi a prestito in precedenza. È vero che esistono titoli indicizzati all’inflazione, il cui valore si adatta all’aumento dei prezzi, ma questi rappresentano poco più del 10% dello stock di debito in circolazione in Italia.

Dall’altro lato, l’inflazione si riflette nei rendimenti richiesti dagli investitori per investire nei titoli di Stato, facendoli aumentare e determinando una maggior spesa per lo Stato. Questo, però, riguarda solo le nuove emissioni e il rinnovo dei titoli in scadenza. La scadenza media dei titoli già emessi in Italia supera i sette anni; quindi nel breve periodo tale impatto è limitato rispetto al già citato effetto positivo derivante dall’erosione del valore del debito in circolazione.

Per concludere, il risultato finale dell’impatto dell’inflazione è dunque determinato dalla differenza tra la cosiddetta “tassa di inflazione” (l’effetto positivo per lo Stato, calcolato a posteriori come prodotto tra il tasso di inflazione e stock di debito pubblico all’inizio del periodo considerato) e l’aumento della spesa per interessi (negativo per le casse statali).

Il tutto, ricordando che l’innalzamento dei tassi e dello spread peggiora la reputazione del Paese, rendendo sempre più difficile l’accesso al mercato per l’emissione di nuovo debito.

Il meccanismo antispread “TPI” della Bce

Oltre al Mes, c’è un altro strumento comunitario che interessa in particolar modo l’Italia. Si tratta del cosiddetto TPI (Transmission Protection Instrument), che consentirà di sostenere una trasmissione efficace della politica monetaria della BCE in tutti i Paesi dell’Eurozona, per adempiere all’obiettivo primario di garantire la stabilità dei prezzi.

Il TPI, annunciato dalla Bce a luglio 2022, potrà essere attivato per contrastare dinamiche di mercato ingiustificate e disordinate che rappresentano una seria minaccia per la trasmissione della politica monetaria nell’area euro.

Subordinatamente al rispetto dei criteri stabiliti, l’Eurosistema potrà acquistare sul mercato secondario titoli emessi da Paesi che registreranno un ingiustificato deterioramento delle condizioni di finanziamento. Per questo motivo, il TPI viene definito come “scudo anti-spread”; se ad esempio il differenziale tra il rendimento del Btp decennale e quello del Bund di pari scadenza dovesse ampliarsi in misura eccessiva rispetto ai fondamentali dell’Italia, la Bce potrà decidere di acquistare obbligazioni italiane per riportare sotto controllo i rendimenti e dunque lo spread.

Il TPI verrà attivato solo a determinate condizioni, a seguito di un’analisi della Bce sulle motivazioni che hanno causato le difficoltà del Paese in questione. L’entità degli acquisti di TPI dipenderà dalla gravità dei rischi per la trasmissione della politica monetaria e gli acquisti non saranno limitati ex ante.

Tuttavia, Francoforte potrebbe anche decidere di non intervenire laddove giudicasse come giustificabili le preoccupazioni degli investitori sul Paese in esame.