Nelle ultime settimane si è riacceso il dibattito sulla riforma del Mes, per la cui approvazione finale manca l’ok dell’Italia. Giorgia Meloni e i suoi alleati di governo hanno più volte messo in dubbio l’utilità di questo strumento, criticandone le condizioni di accesso troppo rigide; tuttavia, la mancata ratifica della riforma danneggerebbe i rapporti con l’Europa, complicando le trattative sulla riforma del patto di stabilità e la creazione di un fondo sovrano per finanziare la transizione energetica.
Le polemiche sul Mes si inseriscono in uno scenario di continuo inasprimento monetario da parte della Bce, che peggiora le condizioni di finanziamento sul mercato. Un problema soprattutto per Paesi già ampiamente indebitati, come l’Italia, chiamati per di più a far fronte al rallentamento della crescita, al perdurare della crisi energetica e alla persistente inflazione.
Per attenuare le difficoltà di questi Stati, la Bce ha annunciato a luglio l’introduzione del Tpi, il cosiddetto scudo antispread che dovrebbe garantire una trasmissione ordinata della politica monetaria, ma che al tempo stesso prevede a sua volta il rispetto di alcuni criteri e un certo grado di discrezionalità da parte del Consiglio Direttivo della banca centrale.
Cos’è il Mes e cosa fa
Il Meccanismo Europeo di Stabilità (European Stability Mechanism il nome originale) è un organismo istituito nel 2012 mediante un trattato intergovernativo, con la funzione di prestare assistenza agli Stati in difficoltà finanziaria, a fronte del rispetto di precise condizioni.
Il Mes, chiamato anche “fondo salvastati”, è guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 19 ministri delle finanze dell’area dell’euro, che assumono all’unanimità tutte le principali decisioni, inclusi i prestiti di fondi a un membro dell’organismo.
Il Mes ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 miliardi sono stati versati; la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha sottoscritto il capitale del Mes per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi Paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono quindi porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza.
Gli strumenti a disposizione del Mes
Per concedere assistenza ai paesi in difficoltà il Mes ha a disposizione fondamentalmente due strumenti, che prevedono condizioni più o meno stringenti in base alla situazione economico-finanziaria dello Stato richiedente.
In particolare, sono previste condizioni meno severe per le linee di credito precauzionali (Precautionary Conditioned Credit Line, PCCL), destinate a destinate a Paesi in condizioni economiche e finanziarie fondamentalmente sane ma colpiti da shock avversi.
Viceversa, quando vengono concessi prestiti a Paesi con squilibri macroeconomici eccessivi e problemi di stabilità finanziaria (Enhanced Conditions Credit Line, ECCL), vengono richieste condizioni più rigide, nella forma di un programma di aggiustamento macroeconomico da specificarsi in un apposito memorandum (con la riforma in corso sarebbe sufficiente una lettera di intenti del Paese richiedente).
La riforma del Mes
A partire dal 2017 in sede europea si è iniziato a discutere di una possibile revisione del trattato istitutivo. La discussione si è conclusa il 27 gennaio 2021 con la firma da parte di tutti e 19 i Paesi dell’area Euro. In particolare, la proposta di riforma interviene sulle condizioni necessarie per la concessione di assistenza finanziaria e sui compiti svolti dal Mes in tale ambito, introducendo modifiche di portata complessivamente limitata.
La riforma non prevede alcun meccanismo automatico di ristrutturazione dei debiti sovrani, né affida al Mes compiti di sorveglianza macroeconomica. Le verifiche preliminari sulla sostenibilità del debito saranno condotte con un “margine di discrezionalità sufficiente”, mentre il coinvolgimento del settore privato nella ristrutturazione del debito rimarrà strettamente circoscritto a casi eccezionali.
La riforma, inoltre, attribuirebbe al Mes una nuova funzione, quella di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund o Srf) nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie. In sostanza, se il Srf esaurisce i fondi a disposizione, il Mes potrà prestare le risorse necessarie, contribuendo a contenere i rischi di contagio tra istituti di credito.
La ratifica della riforma sul Mes e i dubbi del governo Meloni
Dopo la firma della Germania a dicembre 2022, l’Italia resta l’unico Paese dell’area euro a non aver ancora approvato definitivamente la riforma del Mes (esclusa la Croazia che ha fatto il suo ingresso nell’eurozona il 1° gennaio 2023).
La revisione del fondo salvastati richiede tuttavia l’unanimità, il che mette l’attuale governo di centrodestra in una posizione scomoda. I partiti della maggioranza, infatti, hanno ripetutamente criticato il Mes a causa dei suoi requisiti, ritenuti troppo stringenti, e del suo status di creditore privilegiato, che prevede una priorità nella restituzione dei fondi rispetto ad altri soggetti. Un’approvazione della riforma potrebbe dunque essere interpretata negativamente dall’elettorato di centrodestra.
Dall’altro lato, la mancata ratifica farebbe naufragare la riforma del Mes e isolerebbe l’Italia nei confronti degli altri Paesi dell’eurozona. Un rischio elevato per l’esecutivo, sotto i riflettori di Bruxelles soprattutto a causa dell’elevato debito pubblico dell’Italia (2.771 miliardi a ottobre 2022), pari a oltre il 150% del Pil alla fine del secondo trimestre del 2022.
Il governo Meloni sembrerebbe dunque intenzionato ad aprire un dibattito in Parlamento, scaricando di fatto l’approvazione della riforma del Mes sulle camere e promettendo al contempo agli elettori di non richiedere in nessun caso prestiti all’organismo.
Il meccanismo antispread Tpi della Bce
A luglio la Bce ha annunciato il cosiddetto Tpi (Transmission Protection Instrument), uno strumento che consentirà di sostenere una trasmissione efficace della politica monetaria della Bce in tutti i Paesi dell’Eurozona, per adempiere all’obiettivo primario di garantire la stabilità dei prezzi.
Il Tpi potrà essere attivato per contrastare dinamiche di mercato ingiustificate e disordinate che rappresentano una seria minaccia per la trasmissione della politica monetaria nell’area euro.
Subordinatamente al rispetto dei criteri stabiliti, l’Eurosistema potrà acquistare sul mercato secondario titoli emessi da Paesi che registreranno un ingiustificato deterioramento delle condizioni di finanziamento. Per questo motivo, il Tpi viene definito come “scudo anti-spread”; se ad esempio il differenziale tra il rendimento del Btp decennale e quello del Bund di pari scadenza dovesse ampliarsi in misura eccessiva rispetto ai fondamentali dell’Italia, la Bce potrà decidere di acquistare obbligazioni italiane per riportare sotto controllo i rendimenti e dunque lo spread.
Il Tpi verrà attivato solo a determinate condizioni, a seguito di un’analisi della Bce sulle motivazioni che hanno causato le difficoltà del Paese in questione. L’entità degli acquisti di Tpi dipenderà dalla gravità dei rischi per la trasmissione della politica monetaria e gli acquisti non saranno limitati ex ante. Tuttavia, Francoforte potrebbe anche decidere di non intervenire laddove giudicasse come giustificabili le preoccupazioni degli investitori sul Paese in esame.
Ridurre il rapporto debito/Pil resta la priorità
In questo scenario, la priorità per l’Italia sembra proprio quella di ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil, anche al fine di migliorare la percezione nei confronti degli investitori e poter accedere agli strumenti di sostegno a livello comunitario (al Tpi, ma anche eventualmente al Mes).
Secondo l’ultima Nota di aggiornamento del Def, il rapporto debito/Pil programmatico prevede un calo al 145,7% nel 2022, rispetto al 150,3% di fine 2021. Questo grazie soprattutto alla crescita del Pil, che nel 2022 dovrebbe attestarsi ad un valore fra il 3,7% e il 3,9%.
La chiave, dunque, consiste nell’attuare riforme e garantire condizioni adeguate ad incentivare la crescita, piuttosto che limitarsi a soffocare gli Stati con politiche di austerity volte solo a ridurre l’indebitamento.
Un’assist dall’inflazione per ridurre il debito
In tale contesto, c’è poi da valutare l’impatto dell’inflazione, che si esprime attraverso diversi canali. Da un lato, un aumento inatteso dei prezzi aumenta il gettito fiscale; tuttavia, in Italia, per il 2022, questo effetto è stato compensato dallo stanziamento di fondi a famiglie e imprese per contrastare il caro energia.
Ma l’aumento dell’inflazione migliora i conti pubblici anche in un altro modo, ovvero erodendo il valore reale del debito pubblico in circolazione; a causa dell’inflazione, infatti, 100 euro rimborsati a scadenza hanno un valore inferiore rispetto a 100 euro presi a prestito in precedenza. È vero che esistono titoli indicizzati all’inflazione, il cui valore si adatta all’aumento dei prezzi, ma questi rappresentano poco più del 10% dello stock di debito in circolazione in Italia.
Dall’altro lato, l’inflazione si riflette nei rendimenti richiesti dagli investitori per investire nei titoli di Stato, facendoli aumentare e determinando una maggior spesa per lo Stato. Questo, però, riguarda solo le nuove emissioni e il rinnovo dei titoli in scadenza. La scadenza media dei titoli già emessi in Italia supera i sette anni; quindi nel breve periodo tale impatto è limitato rispetto al già citato effetto positivo derivante dall’erosione del valore del debito in circolazione.
Per concludere, il risultato finale dell’impatto dell’inflazione è dunque determinato dalla differenza tra la cosiddetta “tassa di inflazione” (l’effetto positivo per lo Stato, calcolato a posteriori come prodotto tra il tasso di inflazione e stock di debito pubblico all’inizio del periodo considerato) e l’aumento della spesa per interessi (negativo per le casse statali).
Il tutto, ricordando che l’innalzamento dei tassi e dello spread peggiora la reputazione del Paese, rendendo sempre più difficile l’accesso al mercato per l’emissione di nuovo debito.