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MERITO E RISCHIO: FORZA MODERATI

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*Vicedirettore Finanza&Mercati. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Caro direttore, ieri il governo Prodi ha incassato una nuova raffica di sganassoni, ma ai lettori (…) proporrò di farne stato per rivolgere una lettera aperta non al premier, ma al vicepresidente del Consiglio, Francesco Rutelli.

Gli sganassoni sono sotto gli occhi di tutti: dopo il calo verticale di 18 punti nella fiducia degli italiani in soli tre mesi per effetto della Finanziaria tutta tasse, dopo l’argomentata presa di distanza che lo stesso governatore di Bankitalia ha espresso rispetto all’insufficienza dei tagli alla spesa pubblica, ieri le due agenzie internazionali di rating del debito pubblico, Fitch e Standard&Poor’s, hanno entrambe abbassato il giudizio sull’affidabilità del debito sovrano italiano.

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Prodi ha tentato di addossare la responsabilità sul governo precedente. Ma già pochi giorni orsono, quando per la prima volta l’ex banchiere centrale Tommaso Padoa-Schioppa espresse a sorpresa un giudizio molto critico verso gli errori in cui talvolta incorrono gli osservatori internazionali, era evidente che il governo si stava rendendo conto della duplice doccia fredda che alla Finanziaria sarebbe stata riservata dalle agenzie di rating che – negli anni del governo Berlusconi – il centrosinistra aveva preso l’abitudine di considerare come il miglior giudice della salute dei conti italiani.

Il giudizio di Stantard& Poor’s è senza appello, per il governo Prodi: i tagli promessi alla spesa nel Dpef sono traditi nella Finanziaria, è tutta nuove imposte, avrà effetti avversi alla crescita e non riuscirà a ottenere gli obiettivi di avanzo primario e di riduzione del debito promessi. A tutto questo, il governo ha reagito ieri con una nuovo incrudimento del Grande Fratello fiscale, la Piovra telematica perennemente collegata ai nostri conti correnti bancari per avere immediata evidenza di ogni nostro dare e avere.

La lettura delle 148 cartelle della circolare applicativa del Polipo fiscale sui risparmi degli italiani è un esempio di vera e propria letteratura del terrore. Vi propongo solo le ultime righe, testualmente, invitandovi a riflettere sull’avverbio iniziale, dopo 148 pagine di prescrizioni fittissime: «Naturalmente, gli uffici, indipendentemente dall’entrata in funzione della nuova anagrafe dei rapporti tributari e del suo contenuto, potranno formulare richieste aventi per oggetto: qualsiasi rapporto anche cessato prima del primo gennaio 2005; qualsiasi operazione contenuta in un conto; qualsiasi operazione extra -conto effettuata prima del 31 dicembre 2005 il cui ammontare superi i 12.500 euro; qualsiasi operazione extra conto di qualsiasi ammontare effettuata dal primo gennaio 2006». «Naturalmente qualsiasi operazione», sarà a piena e discrezionale disposizione degli 007 fiscali collegati ai nostri conti correnti.

L’egemonia dell’ala massimalista dell’Unione

In due parole: una nuova vittoria dell’ala fisco-giustizialista, che in questi primi tre mesi è stata assolutamente predominante nella fisionomia del governo Prodi, e nel dettare i suoi provvedimenti. Direte voi: ma non ci avevi promesso di parlare di Rutelli? Eccoci, ma la premessa era necessaria. Proprio perché l’ala radicale, antagonista e cigiellina dell’Unione ha esercitato fino ad oggi l’egemonia, vale la pena di indirizzare una seria riflessione sull’appuntamento che nel fine settimana Rutelli e i rutelliani dell’associazione Glocus terranno a Frascati.

Ieri, ne ha parlato sul Corriere della Sera una delle più ragionevoli e preparate componenti dell’attuale governo, Linda Lanzillotta. Ha scritto che insieme ad accademici e imprenditori, banchieri e finanzieri, l’incontro sarà dedicato a temi come “merito”, “mercato”, “rischio”, “efficienza”, “modernizzazione”. Verrebbe da dire: speriamo, magari, final mente. Ma la politica non si fa con gli auspici.

Occorre invece una riflessione più profonda: perché, comunque la si pensi e anche se non si è votato per Rutelli e la Margherita, ci sarebbe solo da guadagnare se nella sinistra si affermasse con maggior energia una parte che avesse a cuore davvero e concretamente almeno qualcuna delle parole d’ordine sulle quali è convocato l’appuntamento di Frascati.

Facciamo allora un passo indietro. Pensiamo alla premessa di questo secondo seminario di Frascati. Perché ce ne fu un primo, l’anno scorso, sempre sui Colli Romani e sempre a porte chiuse, tra lo stato maggiore rutelliano e il fior fiore della Confindustria montezemoliana e abetina, quella più convinta del sostegno a una svolta di governo nel segno di Romano Prodi, alle successive elezioni. All’epoca, fu evidente che Rutelli cercava e realizzava un rapporto diretto con banche e imprese senza passare né per l’ingombrante mediazione di Prodi, e offrendo alle cosiddetti “classi dirigenti” alias “poteri forti” – un rapporto diretto chiaramente alternativo a quello rappresentato dai ds di Piero Fassino.

Si era nel pieno della duplice battaglia bancaria per Bnl e Antonveneta, e soprattutto della scalata a Rcs tentata da Ricucci. E la scelta di Rutelli fu netta, a favore dei patti di sindacato esistenti e dei poteri finanziari costituiti. Una scelta nettamente antidiessina, contro l’Unipol di Consorte che voleva la Bnl. A distanza di un anno, quella scelta tanto netta che cosa è valsa, a Rutelli? Con tutto il rispetto, assai poco.

I signori del Corriere hanno ottenuto quel che volevano, restare loro a via Solferino, ma certo non premiano Rutelli e i suoi per questo. Gli olandesi che han preso Antonveneta, e i parigini di Bnp che han conquistato Bnl, ai professori o ai banchieri rutelliani hanno al più riservato qualche strapuntino periferico negli organigrammi direzionali. Per il resto, Prodi appena in sella sui dossier San-Intesa e Autostrade, Telecom e Alitalia, ci ha pensato lui a ricordare ai signori imprenditori e banchieri chi ha il coltello dalla parte del manico: come sul Tfr, dove a prevalere sono le idee – anche ieri, giorno in cui le imprese sopra i 50 dipendenti si sono sobbarcate all’esproprio dell’intero Tfr e non più del 50% – ancora una volta della sinistra radicale.

Finora, ammettiamolo, il sostegno ricercato nell’ambito del mondo dell’impresa e della banca a Rutelli non sembra valere un granché: né nello scontro che nella Margherita avanza, sostenuto dagli ex Popolari che affermano di pesare per i due terzi del partito e che guardano a un governo istituzionale di Franco Marini ieri rilanciato dalle sue proposte di riforma elettorale – né tanto meno nel riconoscimento di un ruolo potenzialmente davvero alternativo, un domani, per riequilibrare il centrosinistra.

Senza contare la diffidenza che si è molto ispessita, nei ds, dopo le batoste che i rutelliani riservarono loro l’anno scorso dalle colonne del Corriere della Sera. Certo, il disegno di legge del rutelliano Gentiloni srotola un grande tappeto rosso sotto i piedi di Rupert Murdoch e della sua Sky, rispetto alle unghie tarpate a Mediaset. Ma anche con Murdoch Prodi è stato lesto, ad instaurare rapporti diretti tramite i soliti “banchieri amici” della ex Goldman Sachs: sia nella convulsa trattativa che ha riguardato Telecom, sia nei preliminari e nei futuri sviluppi della riforma televisiva, se mai passerà l’esame del Senato.

Il modello Blair per la Margherita

Forse, allora, in vista del secondo appuntamento frascatano, a Glocus e al circolo dei moderati rutelliani conviene riflettere, sull’esperienza di quest’ultimo anno e di questi mesi. Strizzare l’occhietto in privato a capitalisti indebitati o a banchieri che guardano al sodo, quando si tratta di capire chi comanda davvero, non dà grandi vantaggi e attira sospetti.

Il problema invece è quello di battersi concretamente ogni giorno con proposte serie e senza piegare la testa – che parlino davvero di rischio, mercato, efficienza e merito, invece di egualitarismo, Stato, redistribuzione e appiattimento come fa la sinistra radicale. Ai Verdi e all’Italia dei Valori, a Rifondazione e al Pdci di Diliberto non passa neanche per la testa, di misurare i termini e le battaglie per evitare che la coalizione e il governo si disuniscano. Dicono e fanno esattamente ciò che i loro elettori si aspettano da loro: più tasse e più bastonate agli autonomi e ai commercianti, più dipendenti pubblici e meno politica estera filoccidentale, meno infrastrutture e più vincoli all’impresa.

Se Rutelli e la sua pattuglia vogliono davvero apparire all’Italia moderata interlocutori reali nell’Italia del dopo-Prodi che politicamente non è poi così lontana, occorre che escano dalla logica conventicolare e si battano davvero per un’Italia blairiana. Con coraggio, senza paura delle reprimende.

Non limitandosi a banali distinguo, mentre il ministro Fioroni dispone una nuova infornata di precari nella scuola, ma combattendo come dannati su punti concreti di modernizzazione filomercato come quelli che pure avanzano economisti e intellettuali che hanno votato a sinistra, come Giavazzi e Pietro Ichino, oppure come presidenti di Regione alla Riccardo Illy, tutti esponenti che certo non si ritrovano nella Finanziaria tassa-e-spendi bocciata dalle agenzie di rating, e, soprattutto, dagli italiani.

C’è più filo da tessere e premio elettorale in una linea invalicabile posta ogni giorno contro la sinistra irriducibile, che a perder tempo con Montezemolo e la sua pattuglia di sodali che, anch’essi, vanno ormai sempre più perdendo consenso tra i loro stessi associati.

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