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(WSI) –
Dietro il coro di consensi, vi è anche chi ieri non aveva ragioni per brindare al matrimonio annunciato tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi. Tra questi potrebbe esserci il vertice di Mediobanca. Piazzetta Cuccia non sembra aver molto da guadagnare dalla nascita di un colosso bancario che vanterà una notevole potenza di fuoco nell’asset management e nel corporate e investment banking.
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Anzi, proprio la nuova casa d’affari che sorgerà dalla fusione tra la storica struttura dell’Imi (molto forte sul reddito fisso) e la nuova divisione Corporate di Banca Intesa guidata da Gaetano Miccichè (che ha preso il volo nell’ultimo anno) potrebbe rappresentare un vero e proprio campione nazionale dell’investment banking. Certo – come spesso avviene in questi casi – integrare le due strutture richiederà tempo e sacrifici. E tuttavia Mediobanca si troverà un concorrente agguerrito che potrà giocare a tutto campo dal segmento azionario a quello obbligazionario, passando per gli strumenti derivati. La Banca Imi guidata da Pietro Modiano – per inciso – ha chiuso il 2005 con un utile record, che ha raggiunto 190 milioni, più del doppio rispetto agli 83 milioni dell’anno precedente.
Concorrenza e numeri che, in realtà, finora non hanno dato più di tante preoccupazioni allo staff del direttore generale di Mediobanca, Alberto Nagel. Preoccupazioni che invece sarebbero potute venire dalle ipotesi circolate ieri sul mercato di una possibile risposta alle nozze Sanpaolo-Intesa da parte di Unicredit e Capitalia. Le due banche possiedono insieme circa il 18% di Piazzetta Cuccia e hanno rispettivamente al loro interno le merchant bank Ubm e Mcc.
Le ipotesi azzardate sul mercato in piena frenesia da risiko poggiavano sulla recente alleanza tra l’istituto di Alessandro Profumo e quello di Matteo Arpe in sede Abi per esprimere perplessità sulla nomina di Corrado Faissola (emersa anche quella dall’asse Bazoli-Salza). Ma è bastato poco per sfrondare quelle voci: nessun riscontro è infatti venuto sull’ipotesi Uni-Capitalia. Anzi, la mossa sulla strada Torino-Milano avrebbe di fatto aperto altre strade nel risiko bancario, alcune delle quali non inedite ma rimaste congelate all’epoca delle scalate a Bpi e Antonveneta.
Una in particolare sembra riprendere fiato, quella che potrebbe portare all’unione fra Capitalia e Monte dei Paschi di Siena. Anche in questo caso sono mancati ieri riscontri ufficiali, ma gli analisti giudicano il clima che si creerà con le nozze Sanpaolo-Intesa un’occasione d’oro per rasserenare le tensioni registrate con il gruppo presieduto da Cesare Geronzi e guidato da Matteo Arpe. Senza più il fiato sul collo (che portò Arpe, con Geronzi temporaneamente sospeso dagli incarichi, ad accumulare il 2% di Intesa per bloccarne l’assalto) il management capitolino potrà concentrarsi su operazioni che rispondano solo a quei profili industriali richiamati spessi dallo stesso Arpe.
E tra queste, l’opzione più plausibile è proprio quella Mps. Un’ipotesi già circolata in passato, ma poi passata in secondo piano anche per questioni legate agli equilibri politici senesi. Stando ad alcuni osservatori, si tratterebbe di un’alleanza con diversi punti di forza. Primo fra tutti l’importante e complementare presenza nel Sud Italia, con Capitalia in Sicilia (in virtù degli sportelli ereditati dall’ex-Banco di Roma) e con Mps in Puglia con la vecchia Banca 121.
Si tratta, ovviamente, soltanto di un’ipotesi che per tradursi in atti concreti potrebbe richiedere diversi mesi. Almeno fino al 2007: cioè il tempo necessario per convincere i vertici del Monte a battere la strada delle aggregazione dopo il fallimento delle prove di matrimonio con Sanpaolo Imi e Intesa. Capitalia, nel frattempo, quando il merger Intesa-Sanpaolo andrà in porto potrà liberarsi di quel pacchetto difensivo del 2,01% di Intesa acquistato lo scorso marzo.
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