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MERCATI: UN PO’ DI STANCHEZZA DOPO 6 MESI DI RALLY

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*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – Dalla bilancia commerciale USA è giunto un altro segnale negativo per i
mercati, e non solo quelli obbligazionari. Il deficit americano di gennaio
è infatti risalito a quota 58,3 mld di dollari, dopo la discesa a 55,7 mld
in dicembre e il record negativo di novembre a sfiorare i 60 mld. Il
peggioramento è frutto di una crescita molto più debole dell’export
(+0,4%) rispetto all’import (+1,9%), il contrario di quanto accaduto in
dicembre (allora l’export era rimbalzato del 3,2% e l’import era sceso
dello 0,4%), a conferma del persistente squilibrio tra crescita interna e
capacità di assorbimento esterno dell’export USA.

Nonostante il
miglioramento dei conti con l’Unione Europea (il disavanzo è sceso da 10,3
a 8,1 mld di dollari, un segnale però negativo dal punto di vista europeo)
e quello con il Giappone (da 6,85 a 6,2 mld), è peggiorato nuovamente il
saldo con la Cina (da 14,3 a 15,3 mld), il che fornirà un buon pretesto
per le spinte protezionistiche nei confronti del colosso asiatico. Secondo
molti osservatori, anche qualificati, il disavanzo esterno, almeno nel
caso di un Paese delle dimensioni e del peso economico degli USA, è una
questione di scarsa importanza, se non addirittura irrilevante: potrà
forse essere così in certi modelli teorici, ma nel mondo reale bisogna
fare i conti con la necessità quotidiana del suo finanziamento e con la
crescente accumulazione di debito verso l’estero.

Aspettative e umori
della comunità finanziaria internazionale, da un lato, credibilità degli
USA nel mondo, sotto il profilo economico e politico, dall’altro,
diventano a quel punto parte integrante del problema: una crisi nella
percezione del ruolo dell’America o più semplicemente nelle prospettive di
solidità del suo tasso di cambio potrebbero avere un notevole impatto sui
mercati, e non solo sulle attività in dollari. Il campanello d’allarme della bilancia commerciale dovrebbe portare ad un
aumento dei rendimenti richiesti sulle attività in dollari – in
particolare di quelli sulle obbligazioni a lunga scadenza – con effetti
imitativi che in questa fase si propagano, almeno in parte, su tutti i
bond markets, anche quelli dell’area euro dove razionalmente dovrebbe
semmai avvenire il contrario, visto che la crescita rischia di soffocare
proprio a causa del cambio forte.

Ma induce anche a pensare che l’unico
modo per risolvere il problema passi per un forte aumento del tasso di
risparmio delle famiglie americane, attualmente posizionato intorno
all’1-2%, e quindi per una netta contrazione dei loro consumi. Questo è
invece un aspetto che dovrebbe condizionare non poco le Borse, iniziando
da Wall Street. La base produttiva americana si è infatti ridotta
parecchio rispetto agli anni ’70-’80 (in termini di occupazione e valore
aggiunto, il comparto manifatturiero pesa ormai per solo un 13-14% del
totale USA); nemmeno un fortissimo deprezzamento del dollaro (diciamo un
altro 20/30%, dopo il 16% registrato nell’ultimo triennio), tale da
rendere molto competitive le merci USA e far esplodere l’export, sarebbe
ormai sufficiente a ridurre il disavanzo su livelli fisiologici.

L’unica
via d’uscita passa necessariamente attraverso i consumi interni e prima o
poi condurrà ad una loro contrazione: del resto una recessione è sempre
stata in passato la via obbligata per risolvere simili squilibri con
l’esterno, ed è solo in questi ultimi anni che, grazie all’utilizzo
spregiudicato di politiche monetarie e fiscali, si vuole evitare a tutti i
costi al consumatore americano un simile sacrificio. Piuttosto, ci si
continua ad indebitare (tanto anche il valore delle attività in
portafoglio continua a crescere…) per consumare quasi l’intero reddito
disponibile; ma lo squilibrio permane e l’aggiustamento è soltanto
rinviato a tempi migliori.

Se così è, nei prossimi mesi ci sarà ancora da preoccuparsi: il saldo
della bilancia commerciale di gennaio aveva infatti beneficiato di un
minor costo dell’energia (in media da 36,6 a 35,3 dollari il barile), al
punto che la bolletta petrolifera USA era scesa nel mese da 12,2 mld a
11,8 mld di dollari. Ma in febbraio e marzo le cose sotto questo aspetto
sono peggiorate, e ipotizzando per marzo un costo medio del greggio in
linea con i livelli record, ora eguagliati, di ottobre, avremmo un maggior
costo dell’energia importata per ben 2 mld di dollari rispetto a quanto
pagato in gennaio, cui si aggiungeranno anche gli effetti del boom di
importazioni dalla Cina legato al venir meno delle quote sui prodotti del
tessile-abbigliamento, solo in parte già emersi in gennaio.

Complessivamente, il disavanzo di un mese come marzo potrebbe superare
senza problemi la soglia record dei 60 mld di dollari, riproponendo in
maniera ancora più pressante il circolo vizioso dollaro-rendimenti
obbligazionari-necessità di una frenata dei consumi interni. Forse la
speranza, a breve, per i mercati, è che sia il dollaro, sia il petrolio
realizzino graficamente un doppio massimo e che inizino quindi a
ripiegare; sul greggio il carico speculativo è tornato ad essere molto
elevato, mentre gli operatori commerciali sono tra i maggiori venditori
allo scoperto, nella convinzione che si assista ad una nuova fiammata
speculativa non destinata a durare, almeno su questi livelli record.

Sul
dollaro rimangono in pista gli acquisti delle Banche Centrali asiatiche e
i rimpatri di utili legati alle agevolazioni fiscali concessi
dall’Amministrazione Bush per il solo 2005. Ma soprattutto conterà la
situazione tecnica del reddito fisso, sempre più precaria, nonostante
l’assenza di nuovi segnali dall’inflazione; sarà questa a condizionare
maggiormente le Borse nell’immediato, e non solo sui comparti più interest
sensitive. In generale, un po’ di stanchezza, dopo oltre sei mesi di
ascesa ininterrotta, sta iniziando ad affiorare.

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