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MERCATI: POCO ENTUSIASMO SU BOND E AZIONI

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*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – Anche in assenza di ulteriori allarmi inflazione – in realtà persino di
semplici segnali macro, visto che l’unico di rilievo della settimana è il
saldo della bilancia commerciale USA di gennaio – l’obbligazionario è tornato ugualmente sotto pressione: come
era prevedibile, il suo rimbalzo dopo i rassicuranti dati sull’occupazione
di febbraio non ha fatto molta strada e
le vendite hanno avuto, sia pure per motivi soprattutto tecnici (tra cui
anche le aste USA di quinquennali e decennali in settimana), di nuovo il
sopravvento.

E’ probabile che questo andamento dei bond, un misto tra
debolezza ed elevata volatilita’, più accentuato nel caso dei Treasuries che
dei titoli dell’area euro, possa proseguire ancora nelle prossime settimane,
in attesa del responso sui dati di inflazione di febbraio: con essi si vedrà
se davvero i segnali di allarme emersi con i dati del mese precedente (in
particolare dai prezzi alla produzione e dal deflatore della spesa per
consumi, entrambi al netto delle voci alimentari ed energia, saliti in
gennaio oltre le attese) erano concreti o se si trattava invece di
aggiustamenti isolati, magari in coincidenza con l’avvio del nuovo anno.

Anche il dollaro ha ripreso a scendere in maniera più brusca, forse sulle
notizie di maggiore diversificazione valutaria da parte delle principali
banche private asiatiche (il peso del dollaro nei loro depositi, secondo la
Banca dei Regolamenti Internazionali, è sceso nel 3° trimestre 2004 dall’81%
al 67%), forse per anticipare l’eventualità di nuovo scivolone della
bilancia commerciale USA (ma per venerdì è atteso un deficit in linea con i
56,4 mld di dollari registrati a dicembre).

Le Borse hanno quindi finito per
riflettere tutte queste incertezze, soprattutto sui comparti più difensivi;
eppure le strategie di consenso continuano a propendere per un sovrappeso
sull’azionario, sostenuto dall’attesa di una buona crescita degli utili e di
economie comunque viste capaci di superare senza troppi danni le insidie dei
tassi USA e del caro-energia a livello globale. Si tratta di un’ipotesi che
non ci sentiamo di condividere a più lunga scadenza, non fosse altro perchè
i rischi di frenata congiunturale rimangono molto elevati.

Con il petrolio a
questi livelli – e la speranza è che si realizzi un doppio massimo in
coincidenza con i record di ottobre, cui segua un ridimensionamento delle
quotazioni, altrimenti i guai sarebbero maggiori – sono ritornate sui
massimi di periodo anche le quotazioni di benzina e gasolio da riscaldamento
(in particolare negli USA, dove appaiono in rialzo rispettivamente del 17% e
del 27% su base annua). Sul reddito reale delle famiglie la “tassa
petrolifera” tornerà dunque a pesare e nei mesi a venire, come già lo scorso
autunno, sarà la crescita, più che l’inflazione attesa, a registrarne le
conseguenze.

A tutto ciò dovremmo aggiungere l’impatto “recessivo” per la crescita
globale del dollaro debole: si tratta di un elemento sì in grado di
aggiustare parte degli squilibri USA, frenando l’import e stimolando le
esportazioni, ma solo al costo di scaricarli sul resto del mondo.
Parallelamente non va trascurata la volontà più ferma delle Autorità cinesi
di limitare la loro crescita 2005 ad un +8%, in lieve rallentamento dai
ritmi superiori al 9% registrati negli ultimi anni.

Se l’obiettivo è di
generare ancora uno sviluppo ordinato e altri 9 milioni di posti di lavoro,
è essenziale mantenere sotto controllo l’inflazione (la soglia per i prezzi
al consumo è fissata al 4%) e frenare la corsa agli investimenti,
soprattutto nel già surriscaldato comparto immobiliare. Quelli fissi netti
non dovrebbero pertanto superare quest’anno la soglia del 16%, un livello
significativo ma comunque inferiore al +26% registrato nel 2004.

Come
risultato finale, le Autorità sono persino disposte a vedere crescere in
maniera meno impetuosa il peso della Cina sul commercio internazionale,
purchè l’import si raffreddi e si limitino le tensioni sui prezzi di energia
e materie prime. Un auspicio tuttavia per ora sconfessato dall’andamento
record di questi mercati, giunti in molti casi ai loro massimi storici. In
definitiva, tra la debolezza del dollaro e la rinnovata forza dell’energia,
un po’ di motivi di incertezza internazionale sono tornati alla luce e
inducono a maggiore cautela sui mercati.

Manca ancora all’appello un po’ di
sana geopolitica, ma le perduranti tensioni in Medio Oriente e quelle legate
al ruolo crescente della Cina quale superpotenza dell’area asiatica, capace
comunque di avere a lungo termine ambizioni globali (i pretesti più
immediati sono riconducibili alla questione Taiwan, ma i veri punti di
attrito potrebbero emergere sul tema energia, che vede la Cina muoversi in
maniera aggressiva sullo scacchiere globale, dopo Russia e Asia Centrale,
ora è il turno di Sudamerica e Africa), potrebbero produrre presto un
indesiderato aumento del premio per il rischio.

Una posizione un po’ più
liquida in questa fase sarebbe pertanto auspicabile, magari solo per
cogliere migliori opportunità di riposizionamento ora che una correzione è
già in atto sul reddito fisso e potrebbe tra breve interessare anche i
mercati azionari.

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