Società

MERCATI: L’ IMPOTENZA DELLE BANCHE CENTRALI

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(WSI) – Ogni espansione economica si accompagna ad una fase di espansione del credito. La presente espansione del credito, connessa con un ciclo economico positivo lunghissimo e caratterizzato da brevissime interruzioni, non poteva non provocare degli eccessi (un uso smodato del credito) attraverso un processo circolare fra l’offerta di credito (da parte del sistema bancario e altre istituzioni) e l’aumento di valore delle garanzie. Le concessioni di credito, infatti, aumentano il valore delle garanzie e queste ultime servono da base ad ulteriori finanziamenti.

È inevitabile che ad un certo momento questo processo cozzi contro i limiti di bilancio dei richiedenti credito (per patrimonio e capacità di servire il debito) e anche degli stessi offerenti credito (dati i requisiti di patrimonializzazione). In questi ultimi anni, purtroppo, questi limiti sono stati aggirati (ad esempio, con i mutui subprime, con la trasformazione degli stessi in Cdo’s e con le cartolarizzazioni) e l’espansione creditizia fisiologica si è trasformata in boom o, in altri termini, in inflazione creditizia.

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Allorché tale boom ha cominciato a sgonfiarsi e la crisi è iniziata, le autorità monetarie sono intervenute, ma sono state prese in una trappola. Infatti, per lottare contro la crisi hanno dovuto iniettare nuova liquidità, contribuendo ad espandere ancora di più il credito ed accentuando gli squilibri già in essere. Ma intanto la crisi finanziaria si era già propagata. Dai mutui subprime essa contagia le Cdo’s e poi, a cascata, mette in pericolo le società di assicurazione dei mutui e minaccia di sconvolgere l’enorme mercato (45.000 miliardi di dollari) dei credit default swaps.
Le banche di investimento percepiscono, come mai prima era avvenuto, il peso del loro indebitamento derivante dagli impegni per finanziare i leveraged buyouts.

I fondi hedge si scoprono non così market neutral come si credeva e molti devono essere smontati. Il mercato della carta commerciale scompare.
Gli ‘special purpose vehicles’, con cui le banche riuscivano a fare uscire i mutui dai loro bilanci, non possono più essere finanziati sul mercato.
Anche il mercato dei depositi interbancari diviene sospetto perché le banche non si fidano più le une delle altre.

L’unico bastione contro il disastro rimane quello rappresentato dalle banche centrali che in regime di fiat money (cioè senza supporto reale) iniettano un’enorme quantità di danaro a fronte di un’accresciuta gamma di titoli e ad un maggior numero di banche. Questo fatto, oltre a creare un mercato asimmetrico chiamato azzardo morale perché non punisce adeguatamente con le perdite gli investitori quando sbagliano, così come venivano premiati con guadagni quando avevano ragione (dando la sensazione che le banche centrali siano altrettanti bancomat) finisce purtroppo per aggravare la crisi.
L’inflazione creditizia deve essere seguita da un periodo di contrazione creditizia per spazzar via strumenti, pratiche e operatori non sani e incapaci di autoregolarsi.

Pensare che le banche centrali con i loro soli mezzi possano controbilanciare la deflazione creditizia, monetizzando tutto il mercato del credito, è un’illusione. Se cercassero di fare questo, così come forse stanno tentando, correrebbero il rischio di generare una salita dei prezzi, un improvviso rialzo dei tassi di interesse e a quel punto la loro capacità di stimolare l’economia finirebbe bruscamente.

Per quanto riguarda la Fed questo tentativo di combattere la deflazione creditizia incontra anche l’ostacolo di una crisi del dollaro come moneta di riserva internazionale. Del resto è logico. La fase di inflazione creditizia è durata molti decenni ed è stata alimentata, sul piano interno, dalla creazione di moneta senza supporto reale e, sul piano internazionale, da un sistema monetario internazionale basato sul dollaro inconvertibile (dollar standard) in essere dal 1971.

Non è quindi un caso che il passaggio alla deflazione creditizia coincida con la crisi del dollaro come moneta di riserva internazionale. Tale crisi, oltre i menzionati rischi di inflazione, limita i poteri di intervento della Fed: ecco perché crediamo che la deflazione del credito finirà per prevalere su tutta la linea, con gli effetti che si possono immaginare sulle borse e sull’economia.

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