(WSI) – E’ andata in scena la prima rappresentazione di un cupo dramma che vedremo periodicamente replicato per tutti gli anni Dieci. Crisi fiscale globale, crash del dollaro e del sistema monetario e uscita iperinflazionistica ne sono gli ingredienti. E’ la rentrée in grande stile delle ronde dei bond vigilantes.
Fenomeno complesso quello delle ronde, fino a un certo punto utile complemento della società civile rispetto alle assenze dello stato ma oltre quel punto elemento di anarchia distruttiva e di arbitrio.
I bond vigilantes, che ci terranno compagnia per molti anni, partono dalla considerazione che il dissesto fiscale comincia ad assumere proporzioni davvero preoccupanti.
Ci si concentra molto sul passaggio dello stock di debito pubblico americano dallo 0.4 del Pil nel 2007 allo 0.8 nel 2019. Nulla, dicono i vigilantes, rispetto al valore attualizzato del buco della sanità per i soli ricoveri in ospedale (2.4 volte il Pil), per le visite mediche (di nuovo 2.4 volte il Pil), per i farmaci (1.2 volte il Pil). Poi ci sono le pensioni (una volta il Pil). In pratica, lo 0.8 del 2019 che già terrorizza i mercati va moltiplicato niente meno che per dieci. Con la prospettiva, nota Buiter sul suo blog (The Fiscal Black Hole of the United States), di uno stallo politico completo tra democratici che si opporranno a ogni taglio delle spese e repubblicani che si opporranno a ogni aumento delle tasse.
Le ronde dei vigilantes si sono assunte il compito di denunciare questa situazione esplosiva. Fino a un certo punto la loro è una funzione socialmente utile perché spinge i policy maker a predisporre fin da subito delle strategie di rientro dai disavanzi. Non è un caso che la caduta dei Treasuries delle ultime due settimane abbia già prodotto una moltiplicazione delle dichiarazioni di consapevolezza del problema.
Nel lungo termine le ronde sono dunque preziose. Nel breve, a crisi ancora aperta, sono distruttive. Alla Fed dà parecchio fastidio spendere più di 100 miliardi al mese per comprare mutui e tenere basso lo spread tra mutui e Treasuries (e in ultima analisi tenere bassi i tassi dei mutui per convincere qualcuno a comprarsi la casa) e poi vedere tutto il lavoro vanificato dall’aumento dei tassi sui Treasuries.
Con un Pil ancora calante, con l’occupazione avviata a superare in tempi brevi il 10 per cento, con i tassi di policy che in base alla Taylor rule dovrebbero stare a meno 5 e invece stanno a zero e con un’ inflazione che sta scendendo avere non solo i 10 e i 30 anni ma perfino i biennali in caduta libera non è certo l’ideale.
Per fare uscire i Treasuries dalla psicosi dell’iperinflazione torna utile una battuta d’arresto di azionario e materie prime (che a loro volta non collaborano molto, continuando a salire anche per ragioni speculative, alla ripresa dei consumi). Letta così, la fase di consolidamento azionario che si è aperta e che si protrarrà fino a che non si sarà normalizzata la situazione dei bond non è da leggere troppo negativamente.
Ricordiamo del resto ancora una volta che all’esplosione del debito pubblico corrisponde l’implosione del debito dei privati. Sono molte le società che stanno emettendo azioni per ritirare bond.
La riduzione della leva da parte delle società è necessaria. Si potrebbe però sperare, almeno in un mondo ideale, che una volta sistemato lo stato patrimoniale i Ceo e i board la smettessero, in futuro e possibilmente per sempre, di fare pasticci e danni anche gravi aumentando la leva al top del ciclo e riducendola al bottom.
Fare i buy back di azioni care per riemetterle due anni dopo a prezzo stracciato (e poi ricominciare nello stesso modo ciclo dopo ciclo alla Sisifo e per di più senza che l’abbiano imposto gli dei) non è un grande favore agli azionisti. Anche le banche che prestano alle società i soldi per fare queste prodezze e gli analisti che le spingono a comprare alto (per non tenere in cassa il vile cash) e a vendere basso (per rimettere in cassa il prezioso cash) dovrebbero fare un esame di coscienza.
Ricapitolando, quella in corso non è una catastrofe, non è il fatto che ci siamo illusi e siamo caduti nella più classica delle trappole da bear market rally.
Nel breve, però, c’è forse ancora un certo spazio per un arbitraggio veloce tra azioni e governativi lunghi. Se la correzione si approfondirà, vedremo sicuramente approfondirsi un pessimismo non solo di breve ma anche strategico. In realtà i tempi sono sempre quelli. Con un ritorno alla crescita in autunno e con il segno positivi per il Pil globale per il 2010 le borse prima o poi riprenderanno a salire. La media dell’indice nel 2010 sarà superiore alla media dell’indice nel 2009. Come ripetiamo da tempo si può comprare ogni mese una quota azionaria fino a fine anno ed eventualmente vendere una quota ogni mese nel 2010-2011.
Quanto ai bond, nei prossimi due anni non ci sarà iperinflazione e nemmeno inflazione. Periodicamente (come da due giorni e probabilmente per i prossimi) i mercati scopriranno che che il carry di curva (indebitarsi a breve a zero e comprare decennali o trentennali con 400-500 punti base di succoso spread) è irresistibilmente attraente. Altrettanto periodicamente penseranno che i titoli lunghi in un contesto di grave fragilità fiscale sono un pessimo investimento, il peggiore che si possa immaginare.
Vivremo anni (sicuramente i prossimi due) di sindrome bipolare con fluttuazioni molto ampie della parte lunga della curva. La terra di Goldilocks, quella condizione ideale né troppo calda né troppo fredda che ha accompagnato il lungo ciclo della Grande Moderazione (a debito), diventerà solo un punto temporaneo, quel punto intermedio che il pendolo tocca ogni tanto nel passare da un estremo all’altro.
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