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Mercati: americani e inglesi sempre piu’ anti-euro?

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New York – Un duplice campanello d’allarme suonera’ in questi giorni, secondo Citigroup: se la Bce non annuncia nuove misure a sostegno di Madrid e Roma, la crisi rischia di precipitare. Prima ancora si riunisce la banca centrale americana: anche un minimo accenno a un’anticipazione di stretta monetaria, rischia di mandare in tilt i mercati.

Steven Englander, guru del mercato valutario della banca, ha pubblicato un report intitolato “Quello che potrebbe andare storto nei prossimi 11 giorni”, ovvero nei giorni che portano alla prossima riunione della Bce presieduta da Mario Draghi, sul quale si fanno piu’ intense le pressioni per svalutare l’euro.

Tenuto conto del timore per la situazione traballante di Spagna e Italia in questi ultimi tempi, la riunione ha un’importanza piu’ rilevante del solito. E il rischio principale e’ quello che non succeda nulla.

L’incontro di politica monetaria sara’ cruciale sia per i ribassisti che per i rialzisti sui mercati: “I rendimenti dei Bund tedeschi sono ai minimi storici – si legge nella nota – i titoli azionari delle banche europee sono ai minimi record e gli spread sul debito sovrano si stanno allargando ancora”.

Le autorita’ politiche d’Europa si erano illuse di essere riuscite a lasciarsi il peggio alle spalle, dopo l’accordo stretto per il piano di ristrutturazione del debito greco. L’avvento della crisi iberica ha rovinato i loro piani.
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Le nuove preoccupazioni circa la situazione politica in Olanda e Francia, unite alle persistenti paure di un nuovo degerneramento degli spread in Italia e alla pubblicazione di dati macro deludenti hanno spiazzato istituzioni e banchieri, tanto che nessuna risposta politica pare pronta.

Prima ancora scocchera’ l’ora di un altro appuntamento da tenere sotto osservazione: la due giorni di riunione del comitato di politica monetaria della Federal Reserve, che Englander identifica come un rischio di tilt per i mercati.

I banchieri americani dovrebbero confermare una politica monetaria ampliamente accomodamente ‘almeno fino a fine 2014’. Il comitato ha fissato gli ostacoli che si pongono davanti al corretto svolgimento delle misure straordinarie di rilancio dell’economia, (Quantitative Easing e Operation Twist). “Se si modificano i tempi del prossimo rialzo dei tassi, anticipandoli a inizio 2014, o anche nel caso in cui la frase ‘almeno fino alla fine del 2014’, dovesse diventare ‘alla fine del 2014′, i mercati obbligazionari – e probabilmente anche le valute e gli asset a rischio – saranno sottoposti a ingenti pressioni”, secondo lo strategist.

Anche se gli economisti stimano che i tempi prestabiliti nell’ultima riunione verranno confermati, le possibilita’ di un incomprensione del linguaggio che verra’ usato da Ben Bernanke sono piu’ alte del solito. Difficilmente, poi, verranno annunciate nuove misure straordinarie di stimolo.

Il maggiore rischio e’ rappresentato dal cambiamento di opinione dei membri del comitato della Fed. All’ultimo meeeting, in gennaio, in tre avevano indicato il bisogno di un rialzo dei tassi nel 2012 e sei nel 2013.

In sei non vedevano la necessita’ di aumentare il costo del denaro fino al 2015 o persino oltre. Se c’e’ un cambiamento di questi equilibri nella distribuzione dei voti dei presidenti Fed, che tenda verso un’anticipazione della stretta monetaria, allora gli investitori lo interpreteranno come un segnale negativo, un avvertimento.

Se si tiene conto di dove si trovano ora i prezzi del mercato del reddito fisso, un evento di questo tipo, all’apparenza di poco conto, potrebbe invece essere interpretato come un’indicazione chiara del rischio di una stretta futura. Che destabilizzerebbe l’andamento dei mercati, e non solo dell’obbligazionario, innervosendoli.