Economia

Big dell’industria italiana aumentano ricavi, ma fuori dai vertici Ue

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Crescono i ricavi dei big dell’industria italiana, ma non abbastanza per entrare nella top ten europea per fatturato, dominata dalla Germania con cinque big player. È uno dei risultati dell’annuario R&S dell’’Area Studi Mediobanca, che raccoglie i risultati 2014-2018 dei principali gruppi italiani quotati, mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti europei

Partiamo dal fatturato. Nel 2018 il giro d’affari aggregato dei 42 grandi gruppi italiani quotati vale €366 mld, in aumento del +3,3% sul 2017. Fondamentali le esportazioni (+6%), debole la domanda interna (+0,2%). Il settore energetico fa la parte del leone e determina la metà (52,8%) del fatturato aggregato, complice anche una crescita dei ricavi del +7,5% sul 2017 legata al prezzo del greggio. Cresce anche la manifattura (+2,6%) che genera il 26,8% del giro d’affari totale.
Le sole Eni (€75,8 mld) ed ENEL (€73,1 mld), i due principali gruppi industriali italiani, determinano il 41% del fatturato aggregato, seguite da FCA Italy (€27,2 mld) e Poste Italiane (€25,6 mld).

Nonostante il trend in crescita, nella Top10 europea per fatturato, domina la Germania con cinque big player, mentre non compare alcun gruppo italiano. I top10 tedeschi fatturano poco meno della metà del Pil italiano, con le 4 prime aziende tedesche (VW, Daimler, BMW e Siemens) che da sole valgono più dei primi 10 big italiani. Basti pensare che la manifattura italiana determina soltanto il 5,5% del fatturato cumulato europeo (contro il 55,8% della Germania, il 25,6% della Francia e il 13,1% Regno Unito) e il 4,6% del rispettivo Pil nazionale (contro il 24,1% della Germania, il 15,9% della Francia e l’8% del Regno Unito).

Più blando il ritmo di crescita nei ricavi dei big player italiani nel 2018-2014 (+8%), con i britannici che corrono veloci (+23,7%) seguiti dai francesi (+23,6%) e dai tedeschi (+15,1%).

Italia fanalino di coda anche in quanto a utili: suoi solo 3 dei €493 mld generati complessivamente in cinque anni. Meglio di tutti la Germania (€218 mld), seguita da Regno Unito (€140 mld) e Francia (€132 mld). Nemmeno la Borsa premia i big player italiani la cui capitalizzazione ha subito un calo del -8,7% sul 2014, inferiore solo al -15,7% dei big tedeschi. Crescono, invece, francesi (+32,1%) e britannici (+7,8%).

Nel 2018 la redditività industriale dei gruppi pubblici supera quella dei gruppi privati (ebit margin al 13,5% contro il 10,8%) soprattutto per l’impatto del comparto energetico (14%). La manifattura privata (11,2%) è, di contro, più redditizia della pubblica (4,7%), con Recordati, DiaSorin e Moncler sul podio. Irraggiungibili le performance dei “monopolisti” delle reti Snam (55%) e TERNA (51,4%). Ammontano a oltre €46 mld gli utili cumulati nel periodo 2014-2018, di cui quasi un terzo in capo alla sola ENEL (€13,9 mld), campione di profitti. Completano il podio Snam (€5,2 mld) e Poste Italiane (€3,5 mld). Settimo posto per il primo gruppo manifatturiero, Leonardo (€1,7 mld), seguito da Prada (€1,5 mld).

Capitolo dividendi: nel 2014-2018 hanno raggiunto €57 mld. Anche in questo caso Eni (€16,3 mld) ed ENEL (€13,7 mld) dominano. La fetta maggiore spetta allo stato italiano che incassa €11,2 mld, oltre il doppio di quanto riscosso dalle famiglie che controllano i gruppi privati (€4,7 mld); ai comuni vanno €1,2 mld.

Gli investimenti si confermano il vero punto debole dei big italiani (€15 mld nel 2014-2018, -9% in cinque anni) che faticano anche in quanto a redditività (ebit margin nel 2018: 3,1%). I gruppi tedeschi investono esponenzialmente di più (€460 mld; +33,1% sul 2014), seguiti dai francesi (€69 mld; +32,9%) e dai britannici (€34 mld; +19,2%). Investimenti premiati da una redditività maggiore: ebit margin al 18,4% per il Regno Unito, all’11,9% per la Francia e al 7,8% per la Germania.

Migliora infine la situazione dei big italiani sul fronte patrimoniale grazie alla bassa incidenza della componente immateriale sul totale attivo e alla disponibilità in cassa. Con un capitale netto tangibile in percentuale dei debiti finanziari pari al 57,3% sono secondi solo ai tedeschi (88,9%) e appaiono più solidi dei francesi (48,1%) e dei britannici (in negativo a causa dell’elevata presenza di intangibles).