Medio termine: arriva il consolidamento di borse e valute

di Redazione Wall Street Italia
15 Novembre 2010 14:18

(wsi) – (…) Si guardano i conti degli Stati Uniti e si drizzano i capelli. Il debito pubblico cresce del 10 per cento l’anno a perdita d’occhio e il valore attualizzato del disavanzo pensionistico e previdenziale è il 500 per cento del Pil nelle ipotesi più ottimistiche. I democratici non vogliono tagliare le spese, i repubblicani non vogliono aumentare le tasse e alla fine nessuno fa niente. Tocca alla Fed passare da un quantitative easing all’altro, deprezzare il dollaro e richiamare in servizio l’inflazione.

Il Treasury trentennale va in asta tra questi cupi pensieri e batte il 4.32 per cento quando solo un mese fa veniva collocato al 3.82. Ci siamo, si pensa, la parte più libera della curva, quella meno sostenuta artificialmente dagli acquisti della Fed, inizia il suo lungo viaggio nell’orrore della rincorsa tra tassi e inflazione sempre più alti (e dollaro sempre più debole).

Passano pochi minuti e per un momento, all’improvviso, un mondo parallelo irrompe nel nostro. Due autorevoli membri della commissione di studio sulla riduzione del deficit istituita un anno fa da Obama escono allo scoperto e presentano a titolo personale il loro piano.

Sembra di sognare. Nessun taglio di spesa o aumento di tasse per il 2011, per dare alla ripresa la possibilità di mettere radici più solide. Poi un taglio drastico di detrazioni e deduzioni fiscali compensato da una riduzione di tutte le aliquote (ne resterebbero tre all’8, 14 e 23 per cento). Lo stesso per le imposte sulle imprese. I capital gain non più in tassazione separata ma, con l’aliquota massima al 23 per cento, si finirebbe con il pagare di meno rispetto al 25 cui gradualmente vorrebbe arrivare l’amministrazione Obama.

Tagli seri ma sopportabili a difesa e spese discrezionali. Congelamento delle retribuzioni pubbliche e riduzione dei dipendenti federali del 10 per cento. Aumento graduale dell’età della pensione, a 68 anni entro il 2050 e a 69 entro il 2075. Contenimento delle spese sanitarie senza nessuna macelleria sociale.
Il risultato? Disavanzo annuale che passa dal 9 attuale al 2.2 già nel 2015. Solvibilità assicurata per 75 anni a previdenza e sanità. Stock di debito al 60 per cento del Pil nel 2024. La cosa più bella, in ogni caso, è che i due proponenti sono l’uno democratico (l’ex capo di gabinetto di Clinton) e l’altro repubblicano (un ex senatore del Wyoming). Il cielo è blu, tre chilometri sopra di noi.

Ovviamente già un quarto d’ora dopo l’annuncio di questa bozza è partito un fuoco di sbarramento imponente. Indecente, intollerabile, irricevibile, scandaloso gli aggettivi più usati. Lo spettacolo ha inizio, si discuterà per tutto il 2011 e molto oltre. Alla fine, dopo esservici girati intorno molte volte e tra mal di pancia indicibili, si arriverà comunque a qualcosa di simile alla proposta dei due saggi.

Alla fine si arriverà anche ad accettare il QE. Venduto inizialmente bene ai mercati (che hanno comprato borsa e venduto dollari con entusiasmo), il quantitative easing è stato venduto male agli stati. L’idea americana era di forzare le cose e arrivare al G20 con il fatto compiuto. Gli altri si sarebbero arrangiati, reflazionando o stimolando i consumi interni.

Gli altri non hanno per niente gradito. I toni tedeschi e cinesi sono stati veramente acidi. Che cosa si credono questi americani, perdono i pezzi da tutte le parti e vengono a rubare crescita a noi che lavoriamo, esportiamo e risparmiamo.

Gli americani hanno fatto marcia indietro. Forse è stata tutta tattica fin dall’inizio e forse no. Geithner ha detto che non svaluterà più, Bernanke ha minimizzato il QE, i mercati ipercomprati di euro e di yen ne hanno venduta una parte. Il rigetto, del resto, è arrivato anche dall’interno dell’America. Gli economisti di area repubblicana, come John Taylor, lo hanno criticato. Dall’Alaska Sarah Palin, guida spirituale del Tea Party, ha intimato alla Fed di interrompere immediatamente l’esperimento. L’oro si è sentito nel suo ambiente preferito, la Weimar dell’iperinflazione, e ha respirato a pieni polmoni.

Il problema del QE è che è facile sbagliare la dose. Se la disoccupazione è ciclica (come dicono i democratici) bisognerebbe farne almeno quattro volte tanto. Se invece è strutturale (come dicono i repubblicani) il QE produrrà solo inflazione.

Chi sottolinea il carattere strutturale della disoccupazione ha due argomenti forti. Il primo è che è praticamente scomparsa l’edilizia e non è così facile trasformare un muratore in un computer scientist. Il secondo è che quella bella mobilità per cui ammiravamo l’America non c’è più. Se abito a Las Vegas e la mia casa vale meno del mutuo residuo non posso venderla e non posso accettare quell’offerta di lavoro a Kansas City. Sono inchiodato.

Nel cielo blu sopra di noi, dove il buon senso prevale sullo spirito di parte, la disoccupazione è in parte ciclica e in parte strutturale. Una volta l’inflazione salariale iniziava quando si scendeva sotto il 4 per cento di disoccupati. Oggi quel livello potrebbe essere salito al 6, forse 7 per cento. Il fatto è però che i disoccupati effettivi sono il 9.6 per cento. Per passare dal 9.6 al 7 non basterà il QE2, ci vorranno il QE3 e il QE4, senza per questo risvegliare un’inflazione degna di questo nome.

Chi oggi compra oro e vende trentennali pensa che quando il QE4 avrà risolto il problema dei disoccupati, il QE5 e i suoi successori verranno lanciati subito dopo per affrontare un problema diverso, quello dello smaltimento del debito attraverso un’inflazione che, da quel momento, diventerebbe vera e seria.

Preso da solo, tuttavia, il QE2 che sta partendo non è particolarmente pericoloso e appare perfino timido. Di inflazione ce ne sarà poca e la curva dei tassi rimarrà tranquilla. L’eccezione sarà il trentennale, che avrà volatilità molto elevata. Se è vero però, come ipotizza Goldman Sachs, che i tassi a breve resteranno a zero per molti, molti anni, i trentennali e il loro carry da favola saranno oggetto di rinnovato interesse a ogni cenno di rallentamento del ciclo. Quanto a Germania e Cina, se il dollaro scenderà lentamente se ne faranno una ragione.

Nel cielo blu sopra di noi c’è anche una soluzione dignitosa al problema di Grecia, Portogallo e Irlanda. L’Irlanda ha un’eredità pesante di debito bancario, ma la sua economia sta riprendendo a funzionare bene. Un aiuto esterno e, in caso estremo, un default parziale sui bond delle sue banche dovrebbero bastare a mettere al riparo il debito governativo. Il Portogallo ha un problema di debito privato e anche qui un aiuto esterno dovrebbe mettere in sicurezza il debito pubblico. Quanto alla Grecia, quasi tutta la curva sconta già una ristrutturazione molto aggressiva.

Quaggiù sulla terra le cose sono però complicate dalla volontà tedesca di coinvolgere gli obbligazionisti privati nei salvataggi. La Germania, che in aprile si era rassegnata a salvare tutti, torna all’idea del default ordinato, se non altro come ipotesi.

Dopo il default argentino di fine 2001, anche l’amministrazione Bush aveva cercato di imporre al Fondo Monetario il principio del coinvolgimento dei privati nei salvataggi degli stati. Per più di un anno si andò avanti con commissioni di lavoro, documenti e fiere dichiarazioni. Poi si capì che la proposta era controproducente. Invece di stimolare gli stati debitori a rimettersi in sesto, la possibilità di un default indolore con la benedizione del Fondo e degli Stati Uniti induceva alla pigrizia, aumentando peraltro il premio per il rischio per quei debitori che volevano comunque seguire un percorso virtuoso. Alla fine, un meccanismo pensato per punire l’azzardo morale di chi comprava i bond contando sul salvataggio internazionale finiva con il premiare gli stati lazzaroni e con il punire quelli che cercavano di diventare virtuosi.

Quella strada fu rapidamente abbandonata, ma l’idea della punizione esemplare è evidentemente irresistibile. Lehman non è bastata. Naturalmente non si può pretendere di fare pagare ai tedeschi le sciocchezze di tutti, ma l’agitare lo spettro del default solo per fare paura e indurre a comportamenti più virtuosi è un’arma pericolosa. Certo, seminare il terrore aiuta a deprimere l’euro, ma vogliamo non pensare che questa ricaduta positiva sia un motivo in più per minacciare i creditori privati dei paesi in difficoltà.

Venendo al breve termine, è chiaro che siamo entrati in una fase di consolidamento su borse e valute. Si avverte però una contraddizione in certi comportamenti dei mercati. Trentennali, oro e dollaro scontano un QE2 talmente efficace da fare pensare all’inflazione come già alle viste. Le borse, dal canto loro, si interrogano ora, dopo avere corso parecchio, sulla possibilità che il QE2, alla fine, si riveli inefficace. Molto, evidentemente, dipende dal posizionamento dei portafogli.

Superata questa fase, le tendenze di fondo di borsa e dollaro torneranno in evidenza. Periodicamente la loro corsa sarà frenata da incidenti di percorso. Oltre che dai debitori deboli europei, i problemi potrebbero arrivare da momenti di scontro politico negli Stati Uniti, anche se i politici più accorti sembrano avere capito che in questa fase conviene apparire costruttivi piuttosto che votati allo scontro. Gli incidenti di percorso verranno comunque superati se i dati macro, in questa fase oggetto di poca attenzione, rimarranno positivi. Certo, i ritmi attuali di crescita non consentono un riassorbimento significativo dei disoccupati, ma non sono nemmeno disprezzabili.

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.