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McCAIN, L’ ERETICO REPUBBLICANO

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(WSI) – John McCain è apparso combattivo e stanco la notte in cui ha voluto giocare d’anticipo e inserirsi nei festeggiamenti dei democratici a Barack Obama. E le differenze sono apparse più profonde che mai. E non perché potrebbe essere il padre del rivale. E non soltanto perché egli è repubblicano invece che democratico: ma perché egli è differente.

La campagna elettorale, quella vera, che si è aperta nella notte brava dei «tre grandi», attenuerà probabilmente le distanze perché gareggiare per la Casa Bianca impone anche un certo galateo non necessariamente dettato dal rispetto ma attento a una contesa per la conquista del «centro». La diversità si coglie dunque meglio adesso, all’inizio, e potrà riproporsi dopo le elezioni nel modo in cui il vincitore agirà.

Dato che l’avversario è Obama e che Obama ha come scelta obbligata di attaccare McCain, il contrasto è davvero in bianco e nero e non per il colore della pelle ma per le origini, la mentalità, le esperienze dei due rivali. Qualità e difetti, punti di forza e di debolezza sono opposti, speculari. Obama è visto come troppo giovane, McCain, da molti, come troppo vecchio. L’uno è sospettato di debolezza nella politica estera, l’altro di una eccessiva rigidità. La sua visione del mondo si ricollega in qualche modo alla cosiddetta «lezione del Vietnam», quella che vide il «fronte interno» americano sgretolarsi sotto il peso della lunga guerra.

McCain quegli anni non li ha vissuti nelle strade o nelle aule della politica di Washington ma in un carcere di Hanoi, abbattuto dalla contraerea Viet durante un bombardamento, ferito, maltrattato, torturato. Era una preda di valore. Era il figlio dell’ammiraglio McCain, comandante delle forze Usa nel Pacifico e dunque anche dei combattenti in Vietnam. Per lui, in una cella di quello che sarcasticamente si chiamava lo «Hanoi Hilton», non c’erano echi del «fronte interno» ma solo una guerra in corso che l’America finì col perdere, unica nella storia.

Se tornò a casa fu per «merito» di un armistizio che preparava la sconfitta. Scese dall’aereo appoggiato a due stampelle. Tornò a casa nell’anno nero dell’America. Entrò in politica senza porsi troppe domande ma rispondendo a un impulso patriottico oltre che ai dettami di una tradizione di famiglia: anche il nonno era ammiraglio. Sempre rieletto, fu attratto presto da obiettivi più importanti, il che lo fece un rivale personale di George W. Bush.

Cominciarono a duellare nel febbraio del 2000 e McCain mise a segno la prima stoccata, nel New Hampshire, prima di finire schiacciato dal rullo compressore di Bush negli Stati del Sud. I due non si sono mai troppo amati, al punto che nel 2004 al conservatore McCain fu offerta addirittura la candidatura vicepresidenziale nel ticket democratico guidato da John Kerry. Considerato un «eretico» per alcune sue iniziative di politica interna, troppo «laico» per la Destra religiosa, ancora non ha convinto tutti i repubblicani. Per i democratici, però, la sua elezione equivarrebbe a un «terzo mandato per Bush».

Un accostamento che gli pesa molto e da cui deve cercare di sfuggire da qui a novembre. E lo farà, ma non è disposto a «remare contro» nella politica estera e in particolare nel Medio Oriente. Ha già fatto troppo, sempre obbedendo alla sua coscienza, a schierarsi contro Guantanamo e, lui torturato, alla tortura.

È il più anziano candidato alla Casa Bianca nella storia, a tratti appare stanco, il sorriso non troppo convinto. Ma ne ha passate di peggio di una campagna elettorale. Spera che gli elettori si abituino a considerarlo per se stesso e non per una appendice dell’attuale amministrazione. Anche Obama, che i sondaggi in questo momento danno lievemente in vantaggio, ha i suoi problemi. È «troppo nuovo» così come McCain può apparire troppo vecchio. Ma i dadi sono tratti ed entrambi dovranno correre fino al 4 novembre.

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