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MATRICOLE
FORZA 10

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(WSI) – Un’ondata di Ipo è pronta a sommergere Piazza Affari. Da qui alla fine dell’anno, infatti, sbarcheranno sul listino ben dieci società. Un numero che consentirà al 2005 di collocarsi a un livello (17 matricole), che non si vedeva dagli anni d’oro a cavallo tra il 1999 e il 2001. Un bel segnale, perciò. Con la speranza, anzi la convinzione, che non si ripeta ciò che accadde a inizio millennio. Certo l’accelerazione del fenomeno (le Ipo saranno quasi il doppio del 2004) è conseguenza di un ritorno di interesse per il listino, a sua volta frutto della crescita delle quotazioni, stimolate dall’abbondante liquidità in circolazione. Ma queste circostanze, pur presenti cinque anni fa, non bastano a fare una bolla. Al di là del solito richiamo a tenere i piedi per terra, a Piazza Affari si respira perciò aria di ottimismo: l’onda in arrivo non sarà uno Tsunami. E nemmeno l’ultima onda.

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MEDIOBANCA PROTAGONISTA. «Le condizioni del mercato sono ottimali», si spinge a dichiarare Stefano Rangone, responsabile dell’equity di Mediobanca. Non è un caso che Piazzetta Cuccia sia scesa proprio adesso da protagonista nell’arena delle Ipo (è global coordinator di Eurotech, Anima e Marazzi). «Nel giro di dodici mesi – continua – i collocamenti hanno raccolto almeno 20 miliardi di euro (a partire da Enel 3). Ma hanno anche ottenuto buoni rendimenti, col risultato di moltiplicare l’interesse degli investitori. Che, peraltro, hanno a disposizione la liquidità generata dalle plusvalenze delle ultime battaglie societarie, dai superdividendi e dalle Opa (da qui a fine anno solo Ras ed Edison distribuiranno 9 miliardi, ndr)».

L’ottimismo di Piazzetta Cuccia è condiviso da Roberto Magnoni, responsabile del primario per Intermonte, «la pioggia di Ipo durerà di certo per altri 6-8 mesi, molto facilmente per un anno». C’è spazio per nuove entrate «senza rischiare sopravvalutazioni – continua – poiché i multipli sugli utili appaiono ancora a buon mercato». Ma attenzione: «Qualcuno – puntualizza Umberto Orsenigo, gestore di Dws – sembra già essersi fatto prendere la mano». Anima e 3, per esempio, non sembrano valutate a buon mercato. «Conforta il fatto – aggiunge – che c’è molta più attenzione (e selezione) di cinque anni fa da parte degli intermediari». Le cose, in realtà, potrebbero complicarsi, e i rischi aumentare, per società piccole come quelle che stanno trainando l’attuale Ipo-boom dirette all’Expandi.

«Un segmento di Borsa azzeccato – dice Marco Zanchi, direttore merchant banking di Unipol merchant – proprio perché permette maggiore flessibilità e rapidità nel collocamento (non è richiesto il modulo Cumat, ndr). Ma garantisce comunque un rigore sostanziale nella quotazione». La correlazione tra il numero di Ipo e l’andamento del mercato è sempre stato un dato di fatto. È d’altra parte difficile organizzare collocamenti quando il mercato sta attraversando un periodo negativo.

LA LEZIONE DEL DUEMILA. Nella recente storia del listino ci sono stati almeno due periodi «caldi». Entrambi con caratteri distintivi ben evidenti. «Negli anni 1985-1988 ci sono state 69 Ipo – spiega Luca Filippa, responsabile Ricerca&sviluppo di Borsa spa – con una prevalenza di collocamenti di società appartenenti a grandi gruppi quotati. I periodi 1995-1998 e 1999-2001, con 50 e 89 Ipo, sono stati invece caratterizzati dall’arrivo di molte pmi indipendenti, espressione del tessuto industriale italiano». Ma è stato nel 2000 il vero picco: si è segnato il record di 49 ammissioni, contro le 46 del 1905.

Il problema risiedeva in un mix, complesso, di fattori: da una fiducia illimitata e cieca nella potenzialità di Internet alla «golosità» degli emittenti, sostenuta dagli advisor; fino all’inconsistenza di molti modelli di business. Alla fine su molte dot.com calò il sipario e seguì una serie di flop che, in gran parte, spiega perché, nei dieci anni successivi, il mercato è cresciuto solo del 10% (oggi sul listino ci sono 280 aziende, contro le 254 del 1995). Insomma, nel 2000 il fenomeno Ipo era troppo legato agli umori di un unico settore. Oggi, al contrario, gli abiti delle debuttanti sono ben diversi tra di loro. «Da qualche mese – riprende Orsenigo – ci sono chiari segnali di un ritorno degli investitori retail. Questo aumenta i rischi, poiché i piccoli arrivano con il consueto ritardo sul trend, ma conferma che l’aria è cambiata».

RETAIL, MA NON SOLO. Non sono solo i borsini italiani a spingere gli ordini. «Il 2005 – spiega Andrea Levantini, responsabile Equity Capital Market per l’Italia di Morgan Stanley – è stato un anno eccezionale per tutto il mercato europeo che per la prima volta, tralasciando il 2000, ha battuto gli Stati Uniti. L’offerta complessiva è stata di 135 miliardi di dollari, contro i 110 miliardi del Nuovo Continente». Il maggiore ricorso delle società italiane al mercato azionario è collegato «anche alla necessità di diversificare – aggiunge Levantini – rispetto al tradizionale finanziamento bancario o al cash flow interno».

Che le società cerchino risorse, lo conferma anche Anna Gervasoni, direttore generale dell’Aifi: «Gli operatori di private equity stanno brindando al nuovo corso. La Borsa, infatti, è un alleato più che un concorrente: per chi guarda al listino, il private equity spesso è un passaggio obbligato». Non a caso raccolta e dossier aumentano. Insomma, la pioggia di Ipo potrebbe rappresentare il preludio a una nuova stagione finanziaria. Anche se vale un consiglio. « I periodi più rischiosi – dice Massimo Trabattoni di Monte Paschi asset management – sono concentrati proprio all’inizio delle fasi di ripresa delle Ipo. Lì si rispolverano progetti fermi da anni nei cassetti delle banche».

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