Società

MATERIE PRIME:
IL BOOM E’ APPENA COMINCIATO

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(WSI) – Al telefono, Jim Rogers, il leggendario investitore newyorkese, gongola. L’indice delle materie prime da lui creato, il Rogers International Commodities Index (Rici), ha messo a segno, se calcolato in euro, un rialzo del 35%, stracciando azioni e obbligazioni. Quando nel 2002 iniziò a parlare ai lettori di B&F di commodity come di un grande tema d’investimento, i veicoli per cavalcare l’andamento di petrolio, oro e cereali erano confinati ai contratti future. Adesso si sono moltiplicati e includono certificati, obbligazioni e fondi (vedi servizio a pagina 56). E, secondo l’esperto, l’apprezzamento proseguirà. «Vendere oggi – dice – sarebbe come aver venduto le azioni americane nel 1985 dopo soli 5 anni di toro. Ma queste tendenze durano 10 o 20 anni. Io aspetto le correzioni per comprare e non per vendere».

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Mr. Rogers, c’è qualcosa di nuovo nel suo portafoglio personale?
Direi di no. L’investitore di lungo termine ha bisogno di fare poche scelte. Io non sono un grande speculatore. Perciò il grosso del mio denaro rimane investito in materie prime, dove non si possono liquidare le posizioni di giorno in giorno.

E le altri classi d’investimento?
I titoli del debito stanno preparando la discesa. A mio giudizio, i rendimenti rischiano di salire per 10 o 15 anni, e parallelamente i prezzi delle obbligazioni caleranno. Non conosco esempi storici in cui il reddito fisso è salito mentre le materie prime rincaravano anno dopo anno. Se ci sono dei soldi da fare nel mercato dei bond è vendendo allo scoperto, e non comprando.

E per le azioni?

Wall Street andrà su e giù come negli anni ’70, che rappresentano una buona mappa per orientarsi: i prodotti di base salivano, i bond scendevano e le azioni estenuavano i risparmiatori con allunghi alternati a netti capovolgimenti. Il nostro decennio si muoverà su questa falsariga.

Lei ha costruito un indice di commodity, il Rici, che dall’introduzione nel 1998 ha battuto ogni altro benchmark. Sappiamo anche che i suoi fondi sono ancorati a panieri di commodity, e non a singole materie prime. Insomma lei investe su un giardinetto di merci e derrate. Ma se dovesse scegliere singole commodity, a cosa guarderebbe in questo momento?

Probabilmente guarderei ai beni agricoli che sono rimasti indietro rispetto alle altre risorse di base, e storicamente hanno quotazioni assai depresse, specialmente se si tiene conto dell’inflazione. Nel mercato dei future presterei attenzione al cotone, al succo d’arancia congelato, alla soia o al caffè. È chiaro che si tratta di operazioni per specialisti.

Parliamo del dollaro. Da inizio anno, il biglietto verde ha messo a segno un bel rialzo. È l’inizio di un nuovo trend per la valuta americana o è un’occasione per venderla?

I fondamentali del dollaro sono profondamente viziati e in peggioramento. Ciononostante un rimbalzo era nell’aria. Questa è la ragione per cui nel forum di gennaio organizzato da Borsa & Finanza non suggerii di vendere allo scoperto la divisa statunitense, ma mi limitai a indicare alcune materie prime: cotone, succo d’arancia e zucchero.

Allora è da vendere?

Io aspetto un’opportunità più favorevole. Non escludo l’ipotesi che il dollaro si rafforzi prima di capitolare del tutto. Mi preparo a vendere pesantemente. Tuttavia sento che il momento buono non è ancora arrivato.

Una delle ragioni in base alle quali lei teorizzò il grande avanzamento delle commodity, fu l’industrializzazione dell’Asia e l’immensa domanda che avrebbe sprigionato. È possibile che la nascita di una classe media in quell’area spinga verso l’alto anche i prezzi dell’arte, dei tappeti antichi, delle monete rare e così via?

Certamente sì. Come in passato. Quando nuove potenze economiche emergono dall’indigenza, gli abitanti rimangono folgorati da arte e cultura. I capolavori, le monete e ogni rarità da collezione. Della propria tradizione e anche delle civiltà estere. In Asia ci sono tre miliardi di persone con un potere d’acquisto in ascesa. La cosa non passerà inosservata.

Un mercato un po’ particolare però…

Sì, il problema è la liquidità. Non è come la compravendita di azioni. E ci sono notevoli costi di transazione; se acquista un quadro di pregio, spesso deve pagare commissioni rilevanti. E infine c’è lo stoccaggio.

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