Società

MARX E’ MORTO, MA CONFINDUSTRIA NON STA TANTO BENE

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Sabato? Semplice:
«Berlusconi ha sollevato il polverone
che molti si aspettavano
alzasse nel dibattito tv con Prodi,
non in un noioso consesso istituzionale
tra imprenditori. Credo
ci si debba domandare perché
sia successo a Vicenza e non in
via Teulada. E’ questo il punto
vero.A meno di voler credere alla
favola che dentro la galassia
imprenditoriale filasse tutto liscio
finché la mattana del Cavaliere
ha appiccato l’incendio.
Non è così. Lui ha solo buttato il
cerino dentro un conflitto che
covava da tempo».

Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Scopri i privilegi delle informazioni riservate, clicca sul
link INSIDER

Piero Bassetti,
grande vecchio della politica e
dell’imprenditoria lombarda,
non ha dubbi nel leggere lo
showdown aperto in Confindustria
dal blitz vicentino di Berlusconi.
I Bassetti sono in Confindustria
praticamente da sempre.
Tuttavia, tra i fratelli, Piero è tradizionalmente
quello più eretico.
«Quand’ero presidente della
Camera di commercio di Milano
– racconta al Riformista – fui il
grande nemico della Confindustria
dell’epoca (siamo alla fine
dei Settanta), che mi fece fuori
proprio perché sostenevo che la
politica dovesse guardare più alle
camere di commercio che alle
associazioni di categoria».

Un
vecchio dissidio che in effetti si
tiene con quello attuale,secondo
Basetti. «Perché il mondo imprenditoriale,
inteso come pezzo
vivo di società, non può che dividersi
sotto elezioni. Prodi e Berlusconi
stanno polarizzando tutto
il paese: perché chi intraprende
dovrebbe fare eccezione?».
L’essere imprenditore non
standardizza la cittadinanza.
«Sarebbe una concezione classista,
questa – spiega l’ex presidente
della Lombardia -. Gli imprenditori
sono una funzione
non una classe,come si pensa ancora
oggi, masticando male un
certo marxismo dozzinale». Ed è
proprio qui che il Cavaliere sabato
è stato deflagrante.

«Seppur
in modo viscerale e intuitivo,
il premier ha scoperchiato un
non detto grande come una casa:
l’illusione che Confindustria rappresenti
e incarni l’universo
mondo delle imprese intese come
un unico, grande, blocco monolitico
». Non è così. «E’ 25 anni
che lo vado dicendo –
si scalda -. La galassia
delle imprese non
può essere racchiusa
nelle associazioni di
categoria, nelle associazioni
padronali. È
uno schema vecchio.
Novecentesco. Fordista.
Quando c’era sovrapposizione
perfetta tra impresa
e il suo padrone. Ma oggi
un’azienda cos’è: la proprietà o il
Ceo, per intendersi?».

Un’illusione
alimentatasi potentemente
negli anni Novanta, quando implode
la prima repubblica e il
vuoto di potere risucchia Confindustria
e i sindacati nel great
game della rappresentanza politica
per via diretta, come rappresentanti
in toto del mondo delle
imprese e dei lavoratori. La concertazione,
che poi è stata la mediazione
istituzionale tra pianificazione
e mercato, enfatizza proprio
questo dilemma
tra dimensione politica
e dimensione degli
interessi particolari.
Per questo, secondo
Bassetti, «è un
controsenso denunciare
la linea di frattura
che percorre naturaliter
una grande
organizzazione come Confindustria».

Nel senso: «se si chiamano
a rapporto i due candidati
premier,se si accetta il gioco mediatico
della politica in un momento
in cui la dicotomia Prodi/
Berlusconi è fortissima, come
stupirsi poi se accade quel che è
accaduto?». Il conflitto covava
da tempo. E il Cavaliere non ha
fatto che mettere il suo ditone
«nella piaga della confusione tra
interessi di parte e interessi politici,
amplificando tutta la debolezza
di Confindustria nel pensarsi
marxianamente rappresentante
in monopolio degli interessi
delle imprese e degli imprenditori
», ragiona Bassetti. Evidenziando
una linea di faglia tra
la testa e la pancia degli imprenditori,
ha rotto la finzione. Capito?
«Mentre Montezemolo,
chiedendo compattezza, chiedendo
che la politica non tiri per
la giacca gli industriali, in realtà
non fa che denunciare implicitamente
come il contenitore Confindustria
sia superato, figlio di
una vecchia stagione».

Dal punto di vista degli interessi
imprenditoriali diffusi, infatti
– e qui Bassetti torna all’inizio
del suo ragionamento – «contano
ad esempio molto di più le
camere di commercio», dice. I
nodi funzionali di rete. «Non vi
siete chiesti perchè Confindustria
oggi parla di innovazione, e
di scuola e non più dei salari?
Cerca altri spazi perché il suo
ruolo originario è ormai svuotato
». Di qui le difficoltà e gli imbarazzi
di questi giorni: «il silenzio
stampa imposto in periferia,
il toto Della Valle (dimissioni indotte
o spontanee?)» e via elencando.
Tutto si tiene.

E Berlusconi? «Anche lui,
come Montezemolo, esce sconfitto
da Vicenza». Di questo Bassetti
è sicuro.«La sua è una vittoria
di Pirro, che fidelizza un pezzo
di impresa su una linea ideologizzata.
Ma così facendo, ha
fatto saltare il suo blocco sociale,
quello dei produttori, che nel
2001 aveva aggregato verticalmente
intorno alla parola d’ordine
dell’efficienza. Mettendo il
cuneo tra grandi e piccoli,ha ammesso
paradossalmente che due
imprenditori possono anche
avere visioni politiche diverse.
Incredibile. Una mossa poco felice che gli farà perdere voti».

Copyright © Il Riformista per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved