Società

Manager miliardari contro Occupy. Ma i sondaggi li inchiodano

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New York – Figurano in cima agli organigrammi delle più famose società d’America. Siedono sulla poltrona più ambita. Avrebbero potuto non replicare a chi li indica come i colpevoli della più grande crisi dal Dopoguerra ai giorni nostri. Invece si ostinano a negare il loro status di privilegiati e di principali colpevoli della crisi.

Da Jamie Dimon, l’amministratore delegato di Jp Morgan al miliardario che gestisce i fondi più speculativi di Wall Street, John Paulson, fino al confondatore di Home Depot, Bernard Marcus, tutti i manager americani non si tirano indietro e rispondono ai manifestanti che li accusano di avarizia e che chiedeno di assumersi loro responsabilita’ e costo della crisi.

Dimon e’ il più pagato amministratore delegato tra i numeri uno delle prime sei maggiori banche statunitensi. Nel corso di una conferenza a New York di fronte a una nutrita platea di investitori, il manager non si è tirato indietro. Anzi, ha colto l’occasione per difendere la sua ricchezza, e con lei il suo operato.

Con quel “Agisco come chi ha avuto successo; non c’è niente di male nel fare tutto questo: non capisco chi equipara l’essere ricco all’essere cattivo”, si è scrollato di dosso chi lo ha additato tra i responsabili dei guai in cui si è cacciata l’economia americana. Da Zuccotti Park alle prime pagine di diversi quotidiani Oltreoceano è, infatti, più acceso che mai il dibattito sull’integrità della classe dirigente nella gestione della crisi, dallo scoppio della bolla dei muti subprime, tre anni fa.

Anche lui, che nel 2010 si è ritrovato in tasca uno stipendio da 23 milioni di dollari, alla fine però ha dovuto ammettere la verità: “Non si può denigrare tutto, ma ovviamente esistono anche mele marce”. Più intransigente, invece, la posizione di John A. Allison IV, direttore di BB&T, la nona banca americana, e Thomas Stemberg co-fondatore di Staples. Per loro sono “solo ritornelli gli articoli dei giornali che li accusano”.

Tanto che hanno bollato il motto di Occupy Wall Street (We are the 99%, ndr) come distruttivo. Ma è la postilla, numero 953 b, racchiusa nella Dodd Frank, il pacchetto di misure di regolamentazione dei mercati finanziari che dovrà ridisegnare il volto della finanza americana nei prossimi anni, che obbliga le società americane a rilevare i compensi degli amministratori delegati e dei dipendenti, la vera pietra dello scandalo. L’hanno definita un esercizio “dispendioso di tempo e risorse”. Eppure i più la pensano diversamente.

E bastano pochi dati per confermare questa tesi. Il reddito medio delle famiglie Oltreoceano è aumentato del 62% tra il 1979 e il 2007, mentre quello dell’1% più ricco si è triplicato. Lo riportano i dati inseriti in un rapporto del Congressional Budget Office che risale a ottobre. In altre parole gli Stati Uniti avevano una maggiore disparità di reddito nel 2007 rispetto a quello di paesi come la Cina o l’Iran. Da qui la richiesta a gran voce degli americani di alzare le tasse su chi oggi vanta redditi di almeno 250mila dollari secondo un sondaggio condotto da Bloomberg e dal Washington Post. E non tutti si tireranno indietro. Come il miliardario Warren Buffet insegna.