New York – Uno studio appena pubblicato sugli Stati Uniti mette in luce un aspetto interessante: gli errori sull’identità di un sospetto vengono commessi spesso per l’aspetto poco attraente del presunto criminale. In poche parole, se l’autore di un reato fosse più attraente, i testimoni oculari commetterebbe meno errori nel suo riconoscimento. Evitando, così, di mandare dietro alle sbarre persone che sono alla fine del tutto estranee al fatto commesso.
Nel periodo compreso tra il 1989 e il 2007, giusto per fare un esempio, 201 prigionieri degli Stati Uniti sono stati rilasciati dopo gli esiti degli esami del Dna. Di questi, il 77% era stato vittima di errori di identità commessi dai testimoni oculari. Il risultato è che gli esseri umani sono più portati a riconoscere volti che sono attraenti: se il presunto criminale fosse di bell’aspetto, insomma, sarebbe più semplice riconoscerlo.
Lo studio è stato messo a punto da due professori, Naci Mocan dell’Università statale della Louisiana e Erdal Tekin dell’Università statale della Georgia: entrambi hanno analizzato diversi dati, arrivando alla conclusione che i criminali, alla fine, “non hanno un bell’aspetto”. La frase “the ugly face of crime”, ovvero il “brutto volto del crimine” non sarebbe insomma a loro avviso soltanto una metafora: le ultime ricerche dimostrano in effetti che i delinquenti, nella maggior parte dei casi, hanno un’aspetto meno piacevole rispetto alla media.
“Gli individui meno attraenti commettono maggiori crimini, rispetto a quelli che presentano un aspetto nella ‘media’ – hanno concluso i due professori – mentre gli individui molto attraenti commettono meno crimini rispetto a chi ha un aspetto sempre nella ‘media’.
Non c’è dubbio che una conclusione del genere darà il via comunque a una serie di polemiche e di proteste.