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Madrid e gli edifici fantasma: dove il mattone è in svendita totale

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Roma – Ci sono quattro campi di calcio in erba sintetica uno in fila all’altro, le panchine di legno, gli alberi piantati, le aiuole con i bonsai, la pista ciclabile, i parcheggi, il parco giochi con gli scivoli rossi, la viabilità a due e tre corsie, i cartelli montati per la segnaletica, ma i palazzi e le villette a schiera sono quasi tutti semi vuoti. Un paesaggio spettrale, simile a certe zone di Dublino post bolla finanziaria.

All’Ensanche de Vallecas, periferia Sud di Madrid, si arriva con la metropolitana per Valdecarros. Lungo l’ansa del Manzanarre a fine Anni 90 le autorità cittadine s’immaginarono un grande piano di espansione urbanistica da 7 milioni di metri quadrati, case e abitazioni e servizi per 28 mila persone.

Il mega cantiere partito nel 2004, nel pieno della febbre edilizia, oggi è in gran parte finito ma se imbocchi il nuovo vialone, subito dopo la stazione di polizia, ti si apre davanti una «new town» che la calura pomeridiana rende ancora più desolata.

Un piccolo grande spicchio della follia spagnola per il «ladrillo», il mattone: il milione di case invendute, i 600 miliardi di esposizione sull’immobiliare del sistema bancario, le tantissime «caia» di risparmio buttatesi nel real estate coi soldi a leva dei colossi anche stranieri, facendo la fortuna di gruppi come Martinsa, Reyal, Colonial, Metrovacesa o Astroc, e infine la crisi mondiale, lo sboom e le vendite in picchiata del 30-40%. Fine rovinosa di un sogno.

La portineria del Residencial Velazquez, facciata bianca elegante, è piena di cartelli «se aquila» e «se vende». Il palazzo a fianco è lasciato a metà come un grande torsolo di mela. Ma è tutta la corona di palazzi che corre intorno alla vecchia pianta urbana della Villa de Valecas ad essere mezza vuota.

Alla vicina «Escuela infantil» giovani coppie arrivano a prendere i bimbi. «Nel nostro stabile siamo noi e altre due famiglie: cercavamo tranquillità e buoni servizi per nostro figlio Felipe, delle volte si ha fin paura del troppo silenzio…», ammettono Orge e Luisa. Persino la parrocchia del quartiere è sistemata in un prefabbricato color panna, in attesa di costruire la nuova chiesa. Si trova in uno dei tanti terreni recintati, coperti da erbacce, in attesa che le gru tornino ad alzarsi.

«Si svende moltissimo, le banche finanziano il 100% pur di alleggerire il proprio portafoglio “Real estate”, eppure si fa enorme fatica…», confermano due immobiliari della zona, la Villacasa e la Osuna. «Si è costruito tantissimo, si vende pochissimo…», riassume alla sua maniera Pepe, anziano gestore del bar «Los jardines», appena dentro la zona vecchia della Villa.

Vallecas non è neppure Sesena, 35 chilometri da Madrid verso Toledo dove il palazzinaro finito in bancarotta Francisco Hernando, detto «El Pocero» (lo spurgatore), negli anni d’oro costruì a debito una cittadella patinata da 60 mila abitanti dove vendere 70 metri quadri di appartamento a 250 mila euro (oggi le banche finanziatrici subentrate come il Banco de Santander svendono tutto a 60-80mila euro). E nemmeno è Ciudad Valdeluz, un’ora di auto a Nord della capitale verso Guadalajara, il mega quartiere per famiglie modello con tanto di fermata dell’alta velocità oggi fantasma. Vallecas è zona classica da espansione urbana per giovani coppie e professionisti che vogliono sfuggire il carovita del centro. Per questo i vuoti fanno più impressione e sono il vero spread della Spagna.

Fuori dall’Ensanche altri «crateri» invenduti si vedono sulla strada per l’aeroporto o attorno alla circonvallazione M-40, dove svettano un sacco di palazzoni a metà. Oppure nei quartieri popolari come Carabanhel, insieme a Puente de Vallecas il distretto con più disoccupati oggi a Madrid. Ce ne sono quasi 25 mila e sono in continua crescita, come i cartelli «local disponibile».

Davanti alla «fruteria Halcon» il signor Luis ha messo giù una stuoia e prova a vendere bigiotteria ai passanti. «Lavoravo nell’edilizia – racconta -, coi miei compagni si arrivava a costruire fino nei paraggi di Saragozza, il business girava ma poi l’azienda è fallita e mi trovo qui come un barbone». Carabanchel è un quartiere dignitoso della capitale ma sta assumendo squarci da Paese depresso: le panchine piene di giovani e meno giovani che si prendono la «siesta» a metà mattina, papà che spingono le carrozzine quando dovrebbero essere al lavoro, uomini «sandwich» che arrotondano alla meglio con le piccole pubblicità e cinquantenni disoccupati con pettorina fluorescente «compro oro». Altri frugano nei cassonetti e fa un certo effetto.

A tre fermate di metro c’è un altro dei luoghi simbolo del mattone alla madrilena: la grande piazza Eliptica. «Te li vedevi spuntare di mattina prestissimo, soprattutto ecuadoregni e colombiani, spesso irregolari. Sostavano qui davanti», ricordano al bar Yacarta, e aspettavano i padroncini con il furgoncino che gli davano lavoro a nero nei cantieri infiniti intorno alla capitale, nella catena dei sub appalti. Dieci ore al giorno per 900-1000 euro al mese e in mano solo un foglietto con il gancio del «caporale» da contattare.

«Oggi la mattina si vede poca gente», raccontano al Yacarta. Con la febbre del «ladrillo», pure loro facevano gli affari…
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