La qualità, il fascino dei brand e dell’italian way of life. Ma anche la tecnologia, il know how, i macchinari, il design. A dispetto della delocalizzazione produttiva, il plus creativo dei prodotti made in Italy continuerà a essere la carta vincente delle nostre imprese sui mercati internazionali anche nei prossimi anni. Un rischio però c’è, oltre a quelli di una sana competizione di mercato: che l’Italia e suoi prodotti restino al palo sul fronte della ricerca. A segnalarlo è una ricerca presentata in occasione del V Forum Annuale del Comitato Leonardo, al quale sono presenti, fra gli altri, oltre al presidente del Comitato, Laura Biagiotti, il numero uno di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, il presidente dell’Ice, Umberto Vattani, e il quello dell’Unione Industriali di Roma e di Bnl, Luigi Abete. Secondo la ricerca, la forza dell’offerta italiana risiede innanzitutto nel “valore intangibile della Marca Italia”, formato appunto dalle tecnologie produttive, dalla modernità degli impianti e dei macchinari, dal know how progettuale, dal design e nella “dimensione intangibile del made in Italy”. Due aspetti “strettamente correlati fra loro, perché se è vero che si può delocalizzare la produzione materiale di un bene o di un oggetto, è altrettanto vero che la progettualità del medesimo rimane appannaggio pienamente italiano ed è in questa direzione che il made in Italy conserverà il suo plus creativo nel mondo”. A mettere in pericolo quello che sulle etichette è ormai diventato un vero e proprio vantaggio competitivo, c’è però la scarsa attenzione e gli scarsi investimenti che nel nostro Paese sono destinati alla ricerca. “A tale proposito – si legge infatti nella ricerca – sarebbe opportuno che il Governo rendesse disponibili maggiori risorse per aumentare le assunzioni nelle strutture di ricerca. Se ciò non accadrà tempestivamente e se non si punterà a valorizzare il merito dei più capaci in ambito accademico, il nostro investimento in ricerca e sviluppo continuerà a essere fra i più bassi dell’Ue e per avere risultati tangibili occorrerà aspettare molto tempo”. Secondo lo studio i settori sui quali puntare nei prossimi anni rimangono quelli classici del made in Italy (design, arredamento, grafica, architettura, moda), mentre i mercati di sbocco più interessanti saranno quelli dell’Est europeo (specialmente la Russia), l’America del Nord e del Sud, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, la Cina e l’India. Sul fronte continentale la previsione è di incrementi di vendite in Francia. Sul tema della ricerca e del collegamento fra mondo accademico e mondo delle imprese, si sofferma nel suo intervento Montezemolo. “E’ inutile – dice il presidente degli industriali con riferimento alla Finanziaria – introdurre tanti insegnanti nella scuola, se non sono persone capaci, se non si premia il merito. Le imprese sono pronte a fare la loro parte, ma bisogna contribuire tutti a tenere alto il nome dell’Italia”. Da parte sua Vattani, si mostra fiducioso sulle prospettive del made in Italy nel prossimo futuro, ma sottolinea anche i punti di debolezza del sistema Italia: la carenza di organizzazione, gli effetti limitanti che derivano dai settori protetti dell’economia, i ritardi nell’high-tech, la poca integrazione di prodotti e servizi e l’incapacità di stringere alleanze istituzionali e internazionali.