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MA SE SILVIO PERDESSE, POTREBBE RIPROVARCI?

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(WSI) – Nella risposta alla domandina semplice semplice formulata nel titolo, che è stata proposta sabato scorso su queste colonne e rilanciata autorevolmente dall’appello del Foglio con Piero Ostellino e Sergio Ricossa, il centrosinistra mena un po’ il torrone ma comincia a porsi il problema in pubblico, il che è un progresso rispetto all’ipotesi infausta di una vendetta privata, non discussa davanti agli elettori.

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Bertinotti è evasivo, dice che la priorità sarà la lotta alla disoccupazione e al precariato, poi verranno “questioni di ordinamento democratico” (il lessico è un tantino vecchiotto, variante Germania orientale prima del muro, ma fa niente). Il prodiano Franco Monaco osserva gentilmente che l’appello del Foglio non lo convince, perché non è vero che il conflitto di interessi dispiegato in questi anni non abbia messo in discussione “la natura liberal-democratica” del nostro sistema, come noi affermiamo. Opinione rispettabilissima ancorché non argomentata.

Noi abbiamo registrato un fatto: con Berlusconi è arrivata una piena alternanza al governo, se vincesse Prodi l’alternanza sarebbe riconfermata. Qual è il fatto argomentato da Monaco? Poi aggiunge: né vendette né sconti. E qui siamo sul pericolosamente generico e sull’elusivo. Il segretario dei Ds, Piero Fassino, invece è più preciso: facciamo come in America. Il problema è che in America, caro Fassino, non c’è alcuna legge sul conflitto di interessi, c’è un codice deontologico che riguarda i membri del Congresso e dell’esecutivo e altre figure sia dell’ordinamento pubblico sia del sistema privato.

Un codice rigoroso del dover essere, non un interdetto, che stabilisce sul modello del blind trust alcune opportunità, rese necessarie da una lunga consuetudine. Il sindaco di New York che presiede ai destini di una città grande come un paese europeo medio, e che ha una strada chiamata Wall Street, per esempio, non ha dovuto dismettere il suo patrimonio, consistente in un sistema di televisioni che hanno per oggetto la comunicazione e l’informazione finanziaria.

Quando era un barone televisivo, Ted Turner annunciò che avrebbe concorso alla presidenza degli Stati Uniti, cosa che poi non fece, senza sollevare scandalo. L’editore Forbes ha fatto la sua corsa vana, ma l’ha fatta. Ammettiamo volentieri che l’opinione media americana, soprattutto di parte liberal, considera anomalo il fenomeno Berlusconi dal punto di vista del conflitto di interessi. Anche noi lo consideriamo anomalo, sebbene con l’anomalia l’Italia democratica conviva, senza ammalarsene e senza morirne, ma anzi guarendo dalla sindrome di regime ed entrando nell’epoca dell’alternanza, dal 1994 (non poche settimane).

E’ probabile che l’idea di una legge, un Bill o un Act, che imponga a un imprenditore che prende un quarto dei voti di dismettere le sue industrie se voglia continuare a fare politica sarebbe considerata, essa sì, un po’ tanto scandalosa. Revenge, direbbero gli americani di fronte alla prospettiva di un candidato che, se perda, viene estromesso dalla scena per legge da chi ha vinto.

Post scriptum. Le agenzie hanno battuto nella serata di ieri una ulteriore precisazione di Fassino, da Vespa. Alla precisa domanda: potrà fare politica Berlusconi, e continuare a possedere Mediaset?, la risposta è stata: “Certo che può restare proprietario di Mediaset, purché separi completamente la gestione”. Ottimo.

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