Società

Ma quale progresso e tecnologia. Oggetti inutili. E le vere scoperte non ci sono più

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ROMA (WSI) – Un paradosso della produttività che, negli Stati Uniti, dura da almeno cinquant’anni. E’ il problema che Robert Gordon, professore di economia presso la Northwestern University, fa notare nel corso di un’intervista rilasciata a Goldman Sachs. Intervista che si focalizza sul problema del calo della produttività del lavoro in Usa.

“Guardiamo la cosa in prospettiva. Per l’economia complessiva, la crescita della produttività è stata del 2,7% dal 1920 al 1970, dell’1,6% dal 1970 al 1994, del 2,3% dal 1994 al 2004 nel periodo che noi definiamo di era dotcom, e di appena l’1% dal 2004 al secondo trimestre del 2015. Dunque, negli ultimi 11 anni, la crescita della produttività è stata non solo più debole rispetto a quella dell’era dotcom, ma anche più debole rispetto al cosiddetto periodo di rallentamento che ha preso il via agli inizi degli anni ’70”.

La definizione di paradosso che viene data al fenomeno è giusticata con il pensiero secondo cui il miglioramento della tecnologia e i progressi a livello di efficienza dovrebbero aver aumentato la produttività. Qual è, di conseguenza, il motivo di tale mancato incremento?

“La ragione di questo rallentamento, dopo il 1970, è chiara: abbiamo semplicemente esaurito i benefici di produttività apportati dalle innovazioni precedenti. Alla fine del 19esimo secolo sono state inventate tecnologie estremamente importanti destinate a ‘scopi generali’, come l’elettricità e il motore a combustione interna. Successivamente, si è assistito a importanti sviluppi nei settori dell’intrattenimento e della comunicazione, con il telefono, il telegrafo, la radio, i cartoni animati e la televisione. Abbiamo fatto grandi scoperte per la salute e abbiamo migliorato ampiamente le condizioni di lavoro. Tutto ciò è accaduto tra il 1920 e il 1970. Gli ultimi tre spin off delle grandi invenzioni – autostrade interstatali, viaggi su aerei commerciali, aria condizionata nella maggior parte delle aziende – sono stati completati anch’essi entro il 1970”.

Il professore continua: “Tra il 1980 e il 2005 si è verificata una trasformazione totale delle pratiche di business, dal cartaceo agli schermi piatti e ai motori di ricerca. Ma quella transizione è terminata. E il revival temporaneo della produttività nell’era dotcome si è concentrato unicamente in un arco temporale molto limitato, seguito da guadagni successivi della crescita della produttività molto contenuti, da allora. Stiamo utilizzando software e computer, ora, che sono molto simili a quelli utilizzati dieci anni fa. Dunque non è sorprendente il fatto che la crescita della produttività sia stata inferiore nell’arco di questo decennio”.

E’ vero che “molti benefici dei consumatori non vengono chiaramente riportati nei dati statistici legati al Pil”. Tuttavia, “il Pil ha sempre sofferto questa lacuna: per esempio, il Pil non è riuscito a catturare affatto la transizione dall’utilizzo del cavallo a quello della macchina”. Dunque, “in quel periodo abbiamo tralasciato i benefici della lotta alla mortalità infantile; del lavorare non più 60 ore la settimana ma 40 ore; di avere modo di viaggiare in macchina. In ogni caso, quello a cui stiamo assistendo ora è lo stesso: un fallimento generale di convertire le nuove invenzioni nel Pil, e dunque nei dati che misurano la produttività”.

Incide insomma anche un problema di misurazione dei fenomni, dal momento che “un’ipotetica rilevazione dei benefici apportati dalle invenzioni più recenti, come smartphone e tablet, è probabilmente la più difficile di tutte”.

Ma certo non si può ricondurre tutto a motivazioni di natura statistica. “A mio avviso, le invenzioni del secolo 1870-1970 hanno cambiato la vita dell’uomo in un modo che oggi viene dato per scontato. Se si considerano i progressi immensi compiuti con l’eliminazione delle malattie (…); i progressi nella medicina con l’invenzione degli antibiotici e i trattamenti per i disturbi cardiocircolatori e il cancro (…), l’aver permesso ai dipendenti per esempio delle acciaierie di non lavorare più 12 ore al giorno per sei giorni la settimana, non c’è davvero paragone con le invenzioni di oggi. Gli smartphone e i social network sono intrattenimenti, e non sono essenziali per la vita dell’uomo. E’ vero che il termine ‘migliore’ è soggettivo”.

“La maggior parte dell’eccitazione (a livello di innovazioni) si concentra sull’intelligenza artificiale e sui robot. Ma i robot non rappresentano niente di nuovo. Il primo robot industriale è stato introdotto da General Motors nel 1961. Da allora, i robot hanno costantemente sostituito la forza lavoro umana nel settore manifatturiero, e continuano tuttora a creare una crescita della produttività che è più rapida nel settore manifatturiero che nella maggior parte dei settori dei servizi. Un altro campo in cui i robot stanno facendo gradualmente la loro comparsa è in quello del magazzino. Ma i robot non sono capaci di scegliere i singoli oggetti e portarli a una stazione per impacchettarli; semplicemente sollevano un intero piano di uno scaffale, lo portano a una persona, che poi seleziona il giusto articolo e lo impacchetta manualmente. Gli sviluppi nella robotica sono stati finora incapaci di replicare la mano dell’uomo, anche per quei compiti che gli esseri umano svolgono in modo intuitivo. Dunque, l’arrivo gradiale dei robot nell’economia è molto lento (…) C’è molta eccitazione riguardo ai cambiamenti tecnologici, ma questi stanno avvenendo a un passo molto moderato, specialmente nel sostituire il lavoro degli uomini”.

Il professore rimane scettico sul trend della produttività e prevede una crescita, nel corso dei prossimi 25 anni, di appena +1,2%, lievemente al di sopra del tasso di crescita dell’1% degli ultimi 11 anni, ma ancora al di sotto del tasso dell’1,4% degli ultimi 45 anni, se si esclude il decennio dell’era dotcom, un periodo insolito che non penso si ripeterà”. (Lna)