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(WSI) –
Nelle nostre piazze ululano i “red dogs”, e morderanno pure Prodi
Paese che vai, sinistra che trovi. Negli Stati
Uniti oggi dovrebbe essere il giorno
dei “blue dogs” (Karl Rove permettendo). Da
noi, invece, è sempre il giorno dei “red
dogs”. L’inversione cromatica è intrigante (lì
i conservatori sono rossi e i progressisti blu),
ma forse solo apparente: anche dalle nostre
parti non c’è niente di più conservatore di
un rosso.
I “cani rossi” nostrani sono appena
andati in piazza, crogiuolo magico dell’alchimia
di sinistra, dove il militante si trasforma
in nazione, e il suo slogan in volontà
generale. Eccitati, abbaiano: Damiano è “un
servo dei padroni”, Epifani “uno schiavo del
governo”, e Bersani “un lacchè dell’industria”.
Garantiscono però che non morderanno,
Giordano ha telefonato a Prodi e l’ha
rassicurato: saremo noi i tuoi cani da guardia.
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Ho i miei dubbi: se continua così, a furia
di “discontinuità”, altro che Mortadella; i
“red dogs” rischiano di fare di Prodi un hot
dog, bollito seppur cosparso di salsa rossa.
I “blue dogs”, i levrieri democratici che
cercheranno oggi di strappare la Camera e
forse persino il Senato ai repubblicani, per
la prima volta nella presidenza Bush, vengono
chiamati anche neodem. Poiché il neologismo
è anche il titolo di questa rubrica, potrete
immaginare quanto ci siano cari. E’
gente che ha imparato la lezione della destra
al governo, come l’avevano imparata i neolaburisti
di Blair e i neocentristi di Schröeder,
e come si deve fare in ogni democrazia bipolare
dove le elezioni si vincono al centro.
Pensate un po’ che oltre all’Iraq e agli scandali,
l’arma che usano contro Bush è l’aumento
eccessivo di spesa pubblica della sua
Amministrazione: dopo la Great Society di
Lyndon Johnson, mai presidente Usa aveva
fatto lievitare la spesa federale come Bush.
La sinistra contro il “big government”: ecco
una cosa che vorremmo un giorno vedere anche
in Italia.
Naturalmente, anche la sinistra americana
ha la sua piazza, che in genere si raduna
su Internet. Grazie a quella piazza, ha piazzato
nella corsa anche qualche suo campione,
radicale e pacifista, come il miliardario
Ned Lamont nel Connecticut, che soldi a
parte sembra proprio Paolo Cento. Però il
“blue dog” locale, segato perché troppo
“pro-war” alle primarie, dove votano solo i
militanti, si è presentato come indipendente
e ora tutti i sondaggi lo danno nettamente favorito
quando a votare saranno gli elettori
veri: se Joe Lieberman vince, i neodem italiani
dovrebbero stappare una bottiglia di
champagne (e cominciare a fare qualche serio
ragionamento sulla convenienza delle
primarie).
I “red dogs” sono la schiuma che la risacca
del comunismo ha lasciato sulle nostre
coste. E’ normale che ci siano, anche se non
è normale che siano così tanti. Ciò che veramente
stupisce è quanto li prendono sul serio
Prodi e i partiti riformisti. Ciò che stupisce
è non vedere che per ogni voto conquistato
dai comunisti, due lasciano il centrosinistra
(in realtà si è visto benissimo nelle ultime
settimane di campagna elettorale). I
“red dogs” hanno scambiato una vittoria
elettorale per 24 mila voti, compresi quelli
di Mastella e Di Pietro, in uno storico spostamento
a sinistra dell’asse del paese.
E così,
mentre tutta la sinistra del mondo va al
centro, da Obama a Ségolène, in Italia i
riformisti passano il tempo a rincorrere, a
calmare, a blandire, la muta dei “red dogs”,
quasi come se ne condividessero valori e
ideali, e l’unica differenza fosse che i riformisti
sono solo più lenti e più timorosi nel
perseguirli. Di questo passo – mi costa dirlo
– “riformista” diventerà davvero una parola
malata, deludente per gli elettori di centro
e impotente per quelli di sinistra.
E’ consigliabile che i “blue dogs” italiani
(ce ne sono a bizzeffe, da Fassino a Rutelli,
da Veltroni a Bersani) aspettino i risultati
delle elezioni di mid-term in America, e
contino i voti che prenderà Harold Ford in
Tennessee, o James Webb in Virginia, o Daval
Patrick in Massachusetts, prima di prendere
decisioni avventate: tra i neodem e la
vittoria c’è sempre di mezzo il genio di Rove,
e il rischio che una “october surprise” ci
freghi di nuovo.
Ma se per caso le cose dovessero
andar bene, se il voto americano
confermasse ciò che già sanno a memoria,
allora potrebbero cogliere l’occasione per
rompere gli indugi e cambiare lessico, oltre
che politica: tutti in delegazione dai “blue
dogs” americani, ad annunciare dalla hall
di un albergo newyorchese la loro svolta al
centro, per conquistarsi sul campo il diritto
a chiamarsi Democratici.
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