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(WSI) – Dopo undici aumenti consecutivi dei tassi ufficiali, si assiste ad un fenomeno curioso: i rendimenti del T-Bill a 90 giorni (l’equivalente americano del nosto BoT) “si rifiuta” di adeguarsi al Target rate fissato dal FOMC, il quale a sua volta è addirittura superato dal tasso effettivamente praticato dalle banche commerciali aderenti al Sistema della Riserva Federale. Cosa può nascondere questa anomalia?
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Contrariamente ad una diffusa opinione, sono i tassi di mercato a trainare i tassi ufficiali, e non viceversa: è la legge della domanda e dell’offerta a stabilire il livello di equilibrio dei rendimenti, e la Fed non può fare altro che avallare notarilmente questa situazione. Ecco perché il rendimento dei titoli di Stato a breve scadenza tende a salire (o perlomeno, lo ha sempre fatto) prima che si riunisca la Fed per decidere sul nuovo livello del Fed Fund rate, lo strumento principale della politica monetaria americana.
Un modo interessante per monitorare la situazione risiede nel mettere a confronto il rendimento dei Treasury Bills (IRX), il tasso fissato dalla Fed (Target Rate, o FFTR), e quello effettivamente praticato (FFER) dalle banche commerciali, che di solito si discosta, in positivo o in negativo, dal tasso ufficiale. Il grafico in basso raffigura queste tre variabili, unitamente – in basso – al differenziale fra IRX e FFER.
FF Effective e Target ratio e T-Bills Yield – Vedi grafico a fondo pagina
Come si può notare prima della riunione della Fed – contrassegnata da una linea verticale rossa – il differenziale fra IRX e FFER si allarga, anticipando le mosse della banca centrale. Per essere più precisi, questo fenomeno si è sempre presentato, pur con diverse sfumature, in occasione dei primi otto rincari della politica monetaria restrittiva inaugurata a giugno 2004. Viceversa, il 30 giugno, il 10 agosto e il 21 settembre, il differenziale è stato negativo, il che significava che i tassi di mercato erano inferiori al FFER, il quale a sua volta anticipa le mosse della banca centrale. Nel primo dei tre casi citati, il differenziale si è riportato in territorio positivo, quasi di malavoglia, solo nel primo caso; nel secondo caso è rimasto in territorio negativo, e nel terzo caso, vale a dire, dal 21 settembre scorso in avanti, è precipitato su livelli estremamente bassi.
In concreto, al termine della giornata di ieri, il rendimento del Trimestrale di Stato Usa era del 3.48%, mentre il tasso effettivo praticato dalle banche aderenti alla Riserva Federale era del 3.87%, superiore a quello al momento ufficiale (3.75%). In concreto, un differenziale di ben 39 punti base, che testimonia come il mercato inizia ad inviare un preciso input al responsabile della politica monetaria.
Su un altro fronte, peraltro – quello dei future sui Fed Funds – la probabilità che i tassi ufficiali vengano portati al 4 percento il prossimo 1° Novembre viene data al 98%, per cui la possibilità di una sorpresa (mancato aumento dei tassi) è al momento remota, virtualmente nulla. Eppure il mercato monetario sta inviando dei segnali che in un contesto di medio e lungo periodo non possono essere ignorati: come a dire, che la Fed sta aumentando i tassi senza l’avallo del mercato, e “presto” potrebbe tornare sui suoi passi.
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