Società

MA FINARTE NASCONDE FORSE CAPOLAVORI INESTIMABILI?

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* Fabrizio Tedeschi e´ editorialista di Panorama Economy. Consulente di grandi banche e gruppi finanziari, per otto anni e´ stato responsabile della Divisione Intermediari della Consob a Milano.

L’aritmetica in Borsa continua a essere una mera opinione, mentre sempre
più importanti sono le sensazioni e le vicende societarie più che la
vita aziendale. Suscita forte curiosità e perplessità l’episodio di
Finarte, gloriosa e storica casa d’aste milanese. La società versa da
tempo in cattive acque e la fusione con Semenzato casa d’aste pare
cominciare forse ora a dare frutti positivi, mentre non ha certo
sistemato il passato.

Al 30 settembre 2003 la società ha registrato
perdite, riferite anche a precedenti esercizi, per 15 milioni di euro, e
il consiglio ha convocato l’assemblea per ridurre il capitale e proporre
un contestuale aumento per finanziare la sperata ripresa aziendale.
Le nuove azioni verrebbero emesse alla pari, visto che la situazione
aziendale non consente certo di parlare di consistenti valori di
avviamento. Sembra tutto molto chiaro e gli azionisti si sono già
sbilanciati, manifestando la propria disponibilità a sottoscrivere la
quasi totalità dell’aumento proposto. Il buon senso vorrebbe
un’indicazione totalitaria dell’assemblea a favore dell’operazione,
perché consente di salvare la società e non svantaggia gli azionisti.

Invece, in assemblea è successo che i piccoli azionisti si siano
accodati all’ex patron, Giorgio Corbelli, bocciando le proposte della
maggioranza che fa capo ad Adolfo Cefis, Franco Semenzato, Claudio
Calabi, Fabrizio Garilli e Mario Massari. Costringendo il cda alle
dimissioni.
E in attesa dei nuovi vertici, che saranno eletti il prossimo 12 marzo,
Finarte ha una situazione patrimoniale sulla quale la società di
revisione ha dichiarato di non avere potuto fare i necessari controlli e
che presenta una perdita di periodo di oltre 5 milioni, con un
patrimonio netto, almeno contabile, di 16 milioni.

Di fronte a questo
risultato, molto preoccupante, il titolo quota attorno ai 90 milioni di
euro, circa 5-6 volte il patrimonio netto, quasi che la casa d’aste
fosse una gallina dalle uova d’oro con prospettive di crescita
esponenziali.
Visto che non si ha riscontro di tutto ciò, restano valide solo due
ipotesi: la quotazione del titolo è sostenuta grazie allo scarso
flottante; oppure nei magazzini della casa d’aste ci sono inestimabili
capolavori.

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