La confusione e il disorientamento degli investitori cui si è fatto riferimento sette giorni fa, tradottosi negli ultimi due mesi in un andamento negativo sia dei mercati obbligazionari sia di quelli azionari, nascono da due temutissimi spauracchi di carattere economico: il rialzo dei tassi d’interesse, che ci si attende prendere piede negli Stati Uniti per poi estendersi alle altre aree, e il balzo del petrolio, in aumento di circa il 40% rispetto ai prezzi medi del 2003 e con previsioni di raggiungimento dei 50 dollari per barile entro fine anno.
Paura giustificata visto che entrambi sono veleno puro per le quotazioni delle attività finanziarie, ma forse eccessiva rispetto alle effettive possibilità che queste tendenze si manifestino nella misura, e nei tempi, temuta dal mercato.
Partiamo dall’oro nero per dire che la fase che stiamo vivendo deve preoccupare ma non può essere comparata né alla crisi del 1974, quando il prezzo triplicò, né a quella del 1980, quando si toccarono i 100 dollari – rettificato in funzione del valore attuale della valuta americana – al barile. Inoltre secondo l’istituto di ricerca Capital Economics il mondo industrializzato è molto meno dipendente oggi dal petrolio di quanto lo fosse un quarto di secolo fa; nel 1979 la domanda di prodotti petroliferi rappresentava l’8% delle economie globali mentre oggi vale solo il 2% ed anche tenendo conto del differenziale dei prezzi tra i due periodi la minor dipendenza può essere quantificata in un significativo 25%.
Infine l’International Energy Agency, per il quale le riserve provate possono bastare per i prossimi 25 anni, sostiene che i pozzi esistenti sono sì entrati in una fase di declino ma che in giro per il mondo vi è ancora tanto petrolio da scoprire per cui occorrono circa 2 miliardi di dollari per anno in investimenti per la ricerca.
In merito al rialzo dei tassi occorre sottolineare che il violento e rapido capitombolo dei prezzi dei titoli di stato americani decennali ha di fatto già scontato un aumento dei Fed Funds al 3% per fine 2005, per cui solo ulteriori sorprese in negativo sul fronte inflazione potrebbero far peggiorare il mercato; ebbene il dato core – depurato cioè di energia ed alimentari – su base annua risulta ancora il più basso degli ultimi decenni, e la sua accelerazione mostrata nei primi mesi del 2004 non può essere considerata anomala e pericolosa in quanto è esattamente ciò che la Fed si era posta come obiettivo per far uscire la nazione da quella reazione a catena ben più drammatica chiamata spirale deflazionista.
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