Roma – È la battaglia finale. Per ridisegnare la geografia del potere. E per occupare le posizioni per il “dopo”. Ossia per il “dopo-Berlusconi”. Lo scontro che da qualche mese segna il rapporto tra Gianni Letta e Giulio Tremonti, infatti, non riguarda solo la prossima imponente tornata di nomine nelle aziende “pubbliche”. Ma misura l´egemonia che i due grandi “blocchi”, avversari pur se nella stessa maggioranza, sono in grado di esercitare.
Una lotta che interseca le società detenute dal Tesoro ma anche soggetti privati come Telecom o Generali. Il sottosegretario alla presidenza del consiglio contro il ministro dell´Economia e viceversa. Una contesa senza esclusione di colpi che si sta inasprendo proprio in vista della designazione dei vertici di grandi aziende come Eni, Enel, Finmeccanica e Terna. Gruppi che – dicono alla presidenza del consiglio – producono il 20% del pil italiano. E che quindi costituiscono il “potere reale” del Paese.
Il braccio di ferro rischia di penalizzare non pochi dei manager in carica. E ha costretto la scorsa settimana Silvio Berlusconi ad “ammonire” i due contendenti: «O trovate un accordo o decido io da solo». Su un punto, però, sono tutti d´accordo: eliminare finiani e centristi dai cda. Il rapporto di 6 a 3 per la maggioranza in tutti i board sarà rispettato in maniera rigidissima. E così ne pagheranno le conseguenze uomini come Pierluigi Scibetta (Eni), Alessandro Luciano (Enel) o Piero Gnudi (presidente Enel).
I due “fronti” governativi non hanno ancora trovato il compromesso (si sono fronteggiati pure sull´indicazione di Luca Cordero Montezemolo per il Comitato Olimpiadi 2020) e il puzzle – da definire entro il 4 aprile – solo in parte è composto. Basti pensare che per un momento ha traballato perfino la carica più importante. Quella di amministratore delegato dell´Eni. Su Paolo Scaroni sono piombati i dubbi di Via XX Settembre. Tremonti, sostenuto dall´asse con Umberto Bossi e Roberto Maroni, ha iniziato a chiedere spazio. Intorno all´Ad ha fatto quadrato il “gruppo” guidato da Letta insieme a Cesare Geronzi (il presidente di Generali in ottimi rapporti con il Cavaliere) e Luigi Bisignani.
Scaroni in via cautelativa ha chiesto la conferma in blocco dell´attuale organigramma. L´emergenza libica e gli impegni assunti dagli attuali vertici del Cane a sei zampe con la Russia sembrano metterlo al riparo. A rischio però è il presidente Roberto Poli. Al suo posto, ora, il Tesoro sta facendo avanzare il nome di Alessandro Profumo, ex ad di Unicredit. Anche se gli uomini che per il Carroccio trattano la partita – come Giancarlo Giorgetti, “maroniano” doc – continuano ad avere come di carta di riserva Massimo Ponzellini, attuale presidente della Bpm.
Di certo Letta non vuole soccombere nella contesa. Dopo aver già subito uno smacco nella designazione della guida dell´authority per l´Energia. Il tutto è complicato dalle divisioni interne alla Lega: Maroni e Giorgetti si stanno contrapponendo al gruppo più vicino alla “famiglia” del Senatur (Reguzzoni, Rosi Mauro). Ma l´intesa tra il ministro dell´Economia e dell´Interno è stata di recente “battezzata” dallo stesso Bossi cui ha dato piena delega.
All´Enel, allora, è probabile la conferma di Fulvio Conti, mentre appare sicura la partenza del presidente Gnudi. I lumbard reclamano quella poltrona per Gianfranco Tosi, attuale membro del cda. Più complicata la situazione a Finmeccanica. Letta difende Guarguaglini ma gli ha chiesto di separare il suo destino da quello della moglie coinvolta nell´inchiesta Selex. Se lo farà rimarrà come presidente (con qualche delega) e potrà indicare un successore interno come Alessandro Pansa.
In caso contrario verrebbe sostituito da Massimo Sarmi (caldeggiato dal premier) in uscita da Poste o da Flavio Cattaneo (suggerito dall´Economia). Stesso duello per la presidenza: ancora Ponzellini contro Gianni Castellaneta, ex consigliere diplomatico di Palazzo Chigi. Proprio per le Poste ha perso terreno il leghista Danilo Broggi, ad di Consip. Mentre potrebbe essere confermato il presidente Ialongo, sponsorizzato dalla Cisl.
La lotta tra i due “gruppi” per conquistare ogni singolo tassello di potere spesso invade anche il campo di spa assolutamente private. Come Telecom Italia. Da tempo, infatti, Palazzo Chigi ha esercitato la sua “moral suasion” sui soci italiani (tra cui Generali) del colosso telefonico per rimuovere Franco Bernabè. Anche la lista dei manager di Corso d´Italia deve essere chiusa nelle prossime settimane. Il nome di Bernabè è stato suggerito per Finmeccanica e Poste. Ma su questo campo il Cavaliere sembra destinato a perdere. Telefonica, il socio spagnolo di Telecom, non intende rinunciare all´attuale ad.
L´asse Tremonti-Bossi si contrappone a quello tra Letta e Geronzi anche per reclamare spazio nella finanza che conta. I leghisti temono che il ruolo del presidente di Generali freni l´avanzare del Carroccio nelle “banche del nord”. Non a caso il Senatur ha provocatoriamente segnalato sempre Ponzellini per la nascitura Banca del Sud.
Ma lo scontro sta innervosendo il presidente del consiglio. Teme che la partita venga giocata sulla sua testa. «Se è così – ha avvertito – decido io e posso tranquillamente stabilire di lasciare tutto così com´è». Rinviando il redde rationem tra i due “blocchi” a dopo le prossime elezioni.
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