Società

LOTTA DI CLASSE
IN REDAZIONE

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(WSI) –
Desolatamente improduttiva, lo
stesso in questi giorni la redazione di Repubblica
è piuttosto affollata. Si contano i
giorni, si aspetta martedì: quando lo sciopero
sarà finito, i congressi dei Ds e della
Margherita pure, e forse Carlo De Benedetti
avrà cambiato idea. L’unica cosa certa
è la seconda. “Non sappiamo come andrà
a finire”, ammette Marina Garbesi, del
Cdr. L’editore nel frattempo sta parlando
all’assemblea del gruppo editoriale l’Espresso.

“Un fatto senza precedenti”, definisce
De Benedetti i sette giorni di sciopero.
“E’ evidente che non possiamo accedere
alle richieste di trattare il terzo livello di
contrattazione”. Dice in redazione Marina
Garbesi: “La portata dello scontro diventerà
insostenibile per una delle due parti.
Non credo si debba andare allo sfascio. De
Benedetti non sarà felice di avere un giornale
che lo odia, e può accadere, né noi di
lavorare in un posto dove siamo umiliati e
calpestati”. Poi, si può fare una sosta a via
Nazionale, dove il vertice dei Ds è in partenza
per il congresso di Firenze.

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Sì è cercato
di trovare una soluzione anche dall’esterno,
con il ministro Cesare Damiano, ma
è stato inutile. Dicono, con mesto sorriso, al
partito di Fassino: “Purtroppo a Repubblica
c’è l’ala più radicale del padronato e l’ala
più radicale delle maestranze”. Lo sciopero,
ai diessini congressisti, proprio non è
andato giù. “Ci fa del male, veniamo lasciati
nelle mani del Corriere di Mieli”, proprio
ieri legnato con un editoriale dell’Unità.
Una battuta perfida, corre lungo il piano
nobile del palazzo fassiniano: “Visto che i
giornalisti del giornale di riferimento del
Partito democratico scioperano contro chi
vorrebbe la tessera numero uno, forse è il
caso che cominciamo le iscrizioni dalla tessera
numero due”.

Scene di lotta di classe, a Largo Fochetti.
La questione, apparentemente economica,
prende invece sempre più i contorni
della reciproca insopportabilità tra redattori
e amministratori. Spiega uno dei primi:
“I nostri stipendi sono del 20 o del 30 per
cento inferiori a quelli del Corriere, il diretto
concorrente. Stiamo sempre a ripetere
che vendiamo 40 o 50 mila copie di più al
giorno, questa è una miniera d’oro che loro
hanno e noi non possiamo toccare”.

Loro
sono quelli guidati dall’amministratore delegato
Marco Benedetto, sotto i cui uffici
l’altra sera i giornalisti di Repubblica hanno
protestato. “E’ un cagnaccio, un duro, ci
tratta come se fossimo dei dipendenti di un
call center”. Dicono che lo sciopero è stato
proclamato per “fare più male possibile”, e
anzi c’è anche chi ha proposto addirittura
un mese di sciopero, “l’arma atomica”, viene
definita. I congressi di Ds e Margherita?
“Beh, mettiamo di mezzo tutti, visto che vogliono
dare la loro tessera numero uno al
padrone delle ferriere”.

Un autorevole
commentatore del giornale, uno di quelli
che redattori più giovani chiamano “gli ottimati”,
uno che “ha almeno un rapporto
con la proprietà, noi invece siamo meno di
zero”, uno di costoro, appunto, dice al Foglio
che Fassino ha chiamato, “che fate,
scioperate proprio ora?”, e che gli hanno risposto:
“Chiama il padrone, parla con lui”
(anche se a via Nazionale dicono che no, il
segretario non ha chiamato).

E Scalfari? I giornalisti allargano le
braccia: “E’ un mistero. Quando due mesi
fa abbiamo fatto lo sciopero della firma, gli
abbiamo chiesto di partecipare. Ci ha risposto:
io non sono mica un giornalista, io
sono il fondatore”. E’ lui, l’antico direttore,
che con i suoi editoriali ha fatto scudo a
lungo al governo Prodi, mentre il resto del
giornale lo metteva politicamente allo spiedo.
Assicura Marina Garbesi: “Non ci sono
retroscena sulla scelta dei giorni di sciopero.
Non è stata una ritorsione contro l’editore,
abbiamo solo scelto l’argomento che
avrebbe fatto notare di più la nostra assenza”.
Così che qualcuno aveva addirittura
proposto di cominciare da ieri, dalla partita
Inter-Roma, “questo interessa alla gente”.
Ma nella redazione silenziosa, scelta la
strada dello scontro, ora si trattiene il respiro.

E’ stato vissuto male il rifiuto dell’azienda
di partecipare alla raccolta di fondi
per aiutare i familiari dei collaboratori afghani
di Mastrogiacomo, “abbiamo raccolto
90 mila euro”, qualcuno vi ha visto uno
sfregio non solo alla redazione ma anche al
direttore, Ezio Mauro, che ha appoggiato
apertamente l’iniziativa. Mauro non è in discussione,
ripetono tutti, ma aggiungono
che “se ci sarà un inasprimento ognuno dovrà
fare i conti con la nuova situazione”. I
più vecchi rimpiangono i tempi di Scalfari,
i più giovani vogliono una lotta ancora più
dura. “Le nostre buste paga non sono neanche
confrontabili con quelle degli altri
grandi giornali”.

Ai suoi amici di sinistra
De Benedetti dice che con un contratto come
quello in discussione “va in rovina la
stampa italiana”, ma la lotta di classe a
Largo Fochetti si accende sempre di più.
Però lo stesso una domanda gira nella redazione
silenziosa: “Se quello che noi chiediamo
costa solo un terzo di quello che costerà
questo sciopero e l’azienda non accetta,
cosa c’è davvero in gioco?”.

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