di Mario Ajello – Il Messaggero
Ci siamo, oggi è il Lodo Alfano Day: comincia la discussione della Consulta sulla costituzionalità o meno della legge sull’immunità alle alte cariche dello Stato. Il verdetto potrebbe arrivare in tempi velocissimi, già subito, o forse – e più probabilmente secondo alcune indiscrezioni – nel giro di sette o otto giorni. Anche perchè, nel frattempo, venerdì cinque giudici costituzionali – compreso il presidente Francesco Amirante – andranno in trasferta a Lisbona, per un incontro con i colleghi spagnoli e portoghesi.
Chi prevarrà comunque, in questo alto consesso, al momento della decisione finale, fra i favorevoli alla bocciatura e quelli contrari all’annullamento del Lodo? La partita è racchiusa nei segreti del palazzo della Consulta e nei silenzi dei quindici giudici che dovranno poi pronunciarsi. Altre indiscrezioni – non si sa quanto aleatorie – dicono che, al momento, i quindici sarebbero così schierati: sette giudici per la bocciatura, cinque per la promozione, e tre indecisi. Ma questo è ancora fanta-costituzionalismo, la realtà si vedrà a tempo debito.
Fuori da quelle stanze felpatissime della Consulta, il premier sta col fiato sospeso. Su di lui, l’avvocato Ghedini, che ha buoni agganci fra i componenti della Consulta, due dei quali parteciparono a quella famosa cena con Berlusconi che destò scandalo, funge ormai da settimane come “tranquillizzatore finale”. Ripete al Cavaliere che ci sono ottime possibilità di portare a casa il risultato. E anche il ministro Alfano ostenta sicurezza. Ha detto ieri: «Dopodomani, la Corte si pronuncerà e noi attendiamo fiduciosi il suo giudizio». Diversi gli umori che si registrano negli ambienti del presidente della Camera, Fini, da cui trapela una «cauta preoccupazione» che la legge venga bocciata.
E l’opposizione? Anche lì, grande attesa. E discreto tifo pro-bocciatura. Nel caso vada così, si aprirebbero scenari imprevedibili dentro il quadro politico. Francesco Rutelli, ieri, ha disegnato questo tipo di situazione: «Se cadesse il governo per un’eventuale bocciatura del Lodo Alfano, non si pensi ad una via giudiziaria, perchè c’è una via politica da percorrere. Invece di tornare a dividere il Paese con elezioni anticipate, si reagisca con un “governo del presidente”. Che faccia quelle riforme necessarie, che l’esecutivo Berlusconi non è riuscito a fare».
Lo scenario che più spaventa il governo è quello di un giudizio di illegittimità secca del Lodo, per violazione dell’articolo 138 della Costituzione. Il che significa che la sospensione dei processi nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato non andava fatta con legge ordinaria. Se così fosse – secondo una scuola di pensiero – sarebbe difficile per il governo Berlusconi rimediare con un Lodo Alfano Bis, in tempi brevi. Un ddl costituzionale richiede la doppia lettura delle Camere e la maggioranza dei due terzi del Parlamento, se si vuole evitare il referendum confermativo. Nel frattempo, il premier tornerebbe sotto processo. Non solo per la vicenda Mills.
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La Corte costituzionale è composta da quindici giudici: il presidente Francesco Amirante (eletto dalla Corte di cassazione), il vice presidente Ugo De Siervo (eletto dal Parlamento), Paolo Maddalena (eletto dalla Corte dei conti), Alfio Finocchiaro (eletto dalla Corte di cassazione), Alfonso Quaranta (eletto dal Consiglio di Stato), Franco Gallo (nominato dal presidente della Repubblica, Luigi Mazzella (eletto dal Parlamento), Gaetano Silvestri (eletto dal Parlamento), Sabino Cassese, Maria Rita Saulle e Giuseppe Tesauro (nominati dal presidente della Repubblica), Paolo Maria Napolitano e Giuseppe Frigo (eletti dal Parlamento), Alessandro Criscuolo (eletto dalla Corte di cassazione) e Paolo Grossi (nominato dal presidente della Repubblica).
Gli orientamenti dei giudici costituzionali non sono prevedibili, considerata l’eterogeneità della Corte che per un terzo è composta da giudici nominati dal Capo dello Stato (Franco Gallo, Sabino Cassese, Giuseppe Tesauro e Maria Rita Saulle scelti dall’ex presidente Ciampi, Paolo Grossi da Napolitano), per un altro terzo da giudici provenienti dalle alte Corti (il presidente Francesco Amirante dalla Cassazione assieme ad Alfio Finocchiaro e Alessandro Criscuolo, dal Consiglio di Stato Alfonso Quaranta, dalla Corte dei Conti Paolo Maddalena). Né l’area di provenienza dei giudici eletti dal Parlamento (Ugo De Siervo è stato votato su indicazione del centrosinistra, così come Gaetano Silvestri, mentre Luigi Mazzella, Paolo Maria Napolitano e Giuseppe Frigo del centrodestra) basta a predirne i voti.
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di Antonio Di Pietro
Domani, 6 ottobre, la Consulta si pronuncerà sulla costituzionalità del Lodo Alfano. Non importa quale sarà l’esito poiché è già grave il fatto che sia impegnata la Corte per questo pronunciamento. Questo, di per sé, deve già metterci in allarme.
Solo il fatto che si discuta se considerare quattro cittadini più uguali degli altri di fronte alla legge, testimonia che c’è già, nei fatti, la violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Il gesto del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, uno dei quattro destinatari del lodo, il quale ha deciso di non servirsene, tornando ad essere uguale agli altri cittadini, significa che questo lodo odora di immoralità.
Mi auguro che un organo come la Corte Costituzionale non scriva una brutta pagina nella sua storia sessantennale, avallando una norma già respinta nel 2003, quando portava il nome di Schifani. Gli interessi di un corruttore, che vuole scampare al peggio, non valgono una briciola della reputazione della Corte.
Se il lodo sarà etichettato come “costituzionale”, il Paese scenderà in piazza per il referendum per il quale l’Italia dei Valori ha raccolto oltre un milione di firme e che, quindi, si farà.
Se il lodo sarà respinto l’anti-Stato, ossia il governo Berlusconi, rimarrà comunque dov’è, lo ha già dichiarato. Il Governo modificherà virgole e cavilli dell’attuale legge, finché non verrà accettata.
L’effetto immediato, dunque, sarà lo stesso in un caso o nell’altro: tutto rimarrà immutato perché quello che state vivendo, cari italiani, è un ‘golpe moderno’ e ci siete dentro senza nemmeno accorgervene. Da domani non tornerà la democrazia, la libertà di manifestare, di parola e di espressione, né Silvio Berlusconi se ne andrà dal comando, perché il Parlamento ed altre lobby ora hanno bisogno delle sue leggi porcata, visti gli interessi bipartisan. Se così non fosse, si sarebbero già liberati di Berlusconi con il voto del 2 ottobre sull’amnistia fiscale, invece di salvarlo con 32 “desaparecidos” dell’opposizione filogovernativa i cui nomi riporto di seguito, compreso uno dell’Italia dei Valori:
24 Pd: Argentin, Binetti, Bucchino, Capodicasa, Carra, Codurelli, D’Antoni, Esposito, Farina, Fioroni, Gaione, Ginefra, Giovanelli, Grassi, La Forgia, Lanzillotta, Madia, Mastromauro, Melandri, Misiani, Pistelli, Pompili, Porta, Portas.
7 Udc: Bosi, Ciccanti, Drago, Libè, Pisacane, Ruggeri, Volontà.
1 Idv: Misiti.
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SCHEDA SUL LODO ALFANO
Lodo Alfano: sebbene riguardi soltanto quattro persone in tutta Italia, siano pure le massime cariche del Paese, questa legge, che domani verrà valutata dalla Corte Costituzionale, è considerata il punto cardine dell’autunno politico-istituzionale, uno dei passaggi chiave per la vita stessa del Governo in carica e, forse della legislatura.
Il lodo Alfano, un unico articolo suddiviso in otto commi, sospende infatti “dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e di Presidente del Consiglio dei ministri.
La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l`assunzione della carica o della funzione”. Di fatto, quindi, questa legge segna la fine dei processi nei confronti del premier, che resterebbe al riparo da impegni giudiziari almeno fino al 2013.
Se il lodo Alfano venisse abrogato dalla Consulta, dunque, ricomincerebbero i processi nei confronti di Silvio Berlusconi, ora sospesi, e questo, secondo la difesa della norma messa a punto dall’avvocatura dello Stato, porterebbe “danni a funzioni elettive che non potrebbero essere esercitate con l’impegno dovuto, quando non si arrivi addirittura alle dimissioni. In ogni caso con danni in gran parte irreparabili”, in caso di bocciatura.
Per questo la norma viene definita dall’avvocatura dello Stato “non solo legittima, ma addirittura dovuta”, perché in grado di coordinare due interessi: quello “personale dell’imputato a difendersi in giudizio” e “quello generale, oltre che personale, all’esercizio efficiente delle funzioni pubbliche” delle quattro alte cariche protette. “Se la legge fosse dichiarata costituzionalmente illegittima – è la tesi dell’avvocatura – non sarebbe eliminato il pericolo di danno all’esercizio delle funzioni che, in quanto elettive, trovano una tutela diffusa nella Costituzione”.
Ecco quindi perchè tutti i riflettori del mondo politico sono puntati in direzione del palazzo della Consulta, che già una volta, però, bocciò una legge molto simile all’attuale Lodo Alfano. Si trattava del lodo Schifani, il cui primo articolo, diventato legge il 20 giugno 2003, sanciva che “non possono essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l`assunzione della carica o della funzione fino alla cessazione delle medesime, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato, il Presidente della Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Corte Costituzionale”.
Troppo per la Consulta: la legge venne dichiarata incostituzionale, e quindi abrogata il 20 gennaio 2004. I giudici, infatti, la ritennero in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, che sanciscono l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l`obbligatorietà dell`azione penale.
Proprio in forza di quella sentenza, il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha ripresentato la norma “accogliendo i rilievi della Consulta” e quindi ottenedone l’approvazione definitiva in Parlamento alla fine del luglio 2008. Il 26 e il 27 settembre di quell’anno, però, il pubblico ministero di Milano Fabio De Pasquale, ha sollevato il dubbio di costituzionalità della Legge rispettivamente per il processo dei diritti tv di Mediaset ed il processo a David Mills, nei quali è imputato il presidente del consiglio Silvio Berlusconi. I giudici di entrambi i processi hanno accolto il ricorso del pm e presentato alla Corte costituzionale la richiesta di pronunciamento sulla costituzionalità della legge.
Una terza richiesta è stata avanzata dal gip di Roma nell’ambito di un procedimento penale che vede indagato Berlusconi per istigazione alla corruzione nei confronti di alcuni senatori eletti all’estero durante la legislatura precedente. Anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, è stato in parte interessato dal lodo Alfano: due settimane fa, infatti, Fini ha rinunciato all’ombrello offertogli dalla norma per una querela nei suoi confronti sporta da parte dell’ex pubblico ministero di Potenza Henry John Woodcock. A seguito di ciò, Woodcock ha deciso di ritirare la querela in segno di rispetto per la scelta.
A parte le questioni personali di Berlusconi, dunque, nessuna alta carica dello Stato pare al momento interessata dalla tutela offerta dal lodo, eppure l’attenzione nei confronti della decisione della Consulta è massima, tanto più che nella difesa dell’avvocatura dello Stato si ricordava la sorte dell’ex presidente della Repubblica Giovanni Leone, dimissionario dopo un avviso di garanzia per l’affare Loockheed.
Per questo, è particolarmente importante il lavoro dei 15 Alti giudici, che si riuniranno domani alle 9,30 per l’udienza pubblica sul lodo Alfano. Poi, la camera di consiglio e infine la decisione, che si preannuncia, quale essa sia, sicuramente discussa. Vale infatti la pena di ricordare la lunghissima serie di polemiche per la partecipazione del premier e del guardasigilli a una cena organizzata dal giudice Luigi Mazzella, a cui sedette anche il collega Paolo Maria Napolitano. Entrambi, domani, saranno chiamati a decidere sul lodo.
Se anche la decisione della Consulta dovesse essere favorevole nei confronti della norma, comunque, la faccenda non finirà domani. Il 7 gennaio 2009, infatti, sono state depositate presso la Corte di Cassazione a detta degli organizzatori un milione di firme di cui 850.000 certificate per l`indizione di un referendum abrogativo della legge. La raccolta delle firme, che era iniziata il 30 luglio 2008 ad una settimana dall`approvazione della Legge è stata promossa dall`Italia dei Valori con il sostegno di Rifondazione Comunista e Sinistra Democratica. Se la Corte approverà il lodo, la parola finale spetterà dunque alle urne refendarie. (APCOM)
(Ign) – La Fabbrica della Sagra Consulta fu istituita nel 1732 per volere di Clemente XII. Per reperire fondi Il gioco fu ripristinato per l’occasione con la revoca del divieto e della pena della scomunica. Sullo scrittoio del presidente della Corte Costituzionale il calamaio con cui Napoleone III e Francesco Giuseppe firmarono l’armistizio, a Villafranca.