Società

LO STATO BROKER

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Da cosa si distinguono, camminando per le strade, i regimi totalitari? Certamente dalle facce a ogni angolo dei lider maximi. Poi, allo stesso livello di importanza, dagli slogan inneggianti a questo o quell´obiettivo collettivo, dalle scritte che ricordano imperativi categorici e indicano direttive da realizzare di valore etico o politico. Insomma dalla propaganda di Stato e di governo.

Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Scopri i privilegi delle informazioni riservate, clicca sul
link INSIDER

Ora che in Occidente i totalitarismi, almeno quelli ufficialmente dichiarati tali, non esistono più, e quindi non sono da temere vergognosi paragoni, la nostra società sembra aver ereditato certi sistemi. Le facce della nomenklatura non ci abbandonano mai: c´è sempre una campagna elettorale. E nelle strade ormai siamo abituati a passeggiare sotto i giganteschi manifesti destinati ai grandi temi e ad illustrare «le cose fatte». La si chiami pubblicità, comunicazione, promozione, non cambia la sostanza: è propaganda di Stato e di governo.

Il presidente Cuffaro ha annunciato l´ennesima iniziativa di questo tipo, dopo la prova della mafia che fa schifo. Un campagna indifferibile, con i manifesti misura miniappartamento che già si vedono sui muri, per promuovere il «marchio» dell´Isola agli occhi del mondo, e prima di tutto a quelli dei siciliani. Non ha negato, anzi ha esplicitamente affermato, che lo scopo è anche quello di far conoscere i risultati del suo governo (le famose «molte cose fatte»).

Si potrebbe obiettare, rientrando i costi di questa propaganda nel pubblico bilancio, che i cittadini pagano le tasse perché i governi facciano le cose, non perché se ne vantino. Quando lo fanno, i governi agiscono non come istituzioni comuni, ma come parte politica tra le altre che cerca di indurre psicologicamente al consenso, cioè a votarli di nuovo.

E non appartiene al fair play del pluralismo che una parte sola, per farsi propaganda, possa abusare dei soldi di tutti le parti. In un paese libero i governi, data la loro posizione di predominio, non dovrebbero usare pressioni psicologiche per convincere. Per quanto ineccepibile, questo classico argomento è ormai antiquato, da veteroliberali. E come chi oggi sostiene l´indifferenza dello Stato in materia religiosa (principio laico) viene tacciato da «laicista», anche se nessuno ha mai provato a definire la parola, così è prevedibile che venga accusato di essere «liberalista» chi dica troppo ad alta voce che la propaganda di Stato e di governo è totalitarismo. E infatti l´obiezione può essere ripetuta all´infinito senza che nessuno se ne preoccupi. I governanti non perdono nemmeno tempo a negarla. Anzi non provano nemmeno pudore a riconoscere di fare propaganda a se stessi. Un atteggiamento che è certo uno dei lasciti dello stile Berlusconi, ma si può star certi che non ce ne libereremo più, chiunque vada al governo. Ma più che sul fatto della propaganda di Stato, è su quest´assenza di pudore nel farla e nel motivarla da parte dei potenti che bisogna riflettere.

Perché? Perché ogni giorno che passa la libertà di coscienza viene ferita con una invadenza crescente in proporzione all´assenza di resistenza? Perché nessuno protesta per questa invadenza e i potenti non ne hanno più pudore? Viviamo nell´era della tecnica e la tecnica ha vinto anche nel campo della politica. Nessuno più vuol esser tanto antiquato da giustificare la politica con le categorie formali – formali non sostanziali – del giusto. La si giudica solo con la categoria dell´efficienza. E la retorica dei valori camuffa il dominio antiumano della tecnica. Nessuno più oserebbe affermare che lo Stato non ha valori da perseguire, ma solo aree di autonomia da garantire affinché ciascuno coltivi i propri di valori, con rispetto degli altrui. Nessuno più ha il coraggio di dire che lo Stato non ha parte, non prende parte: lo Stato deve essere dalle parte dei valori e del bene. Si pretende che lo Stato abbia una propria scala di valori espliciti, una propria definizione del bene: e bene e valori deve difendere con, appunto, efficienza. E dietro l´efficienza a pro dei valori, si conferma l´imperio della tecnica. E qual è il potere più efficiente di tutti se non la forma totalitaria? Il potere cioè che tende a estendersi sulle coscienze e sui corpi.

Duecento anni di riflessioni sul tema sembrano essersi addormentati. Giacciono sepolti come cattivi maestri coloro che hanno prodotto pensiero su un fatto elementare: il trionfo dei Valori porta in se stesso la lotta di uomini per dominarne altri. «Il patriottismo è l´ultimo rifugio del mascalzone», osava dire nel Settecento il dottor Samuel Johnson. E lo stesso vale, in politica, per i valori e il bene. Tutte le persone comuni lo sperimentano.

Eppure l´assuefazione alla supremazia della tecnica in ogni area del vivere anestetizza e convince della naturalità di avere uno Stato pedagogo, uno Stato moralista, uno Stato salutista, uno Stato familista, uno Stato sessuologo, uno Stato broker. E quindi uno Stato propagandista. E quando la propaganda si chiama «informazione», «comunicazione», tanto basta ad acquietare tutti quanti. Un voto per la prossima campagna elettorale: che chi andrà al governo si impegni, sommessamente, di non usare i soldi dei contribuenti per fare manifesti con «le molte cose fatte».

Copyright © La Repubblica per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved