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(WSI) – C’è anche chi ci scherza su e quando gli chiedi cosa pensa di Consorte scappa via ridendo: «Ho lasciato la macchina in doppia fila». Oppure chi «io l’avevo detto, sono anni che l’avevo detto» e scappa via anche lei. Poi ci sono i complottisti, quelli che vedono un unico grande disegno che lega i sempreverdi poteri forti, il Corriere della sera, Rutelli e i suoi banchieri, Carlo De Benedetti e forse anche i suoi giornali.
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Il disegno sarebbe quello di indebolire i Ds, impedirgli di entrare nell’alta finanza, tenerli insomma ai margini dell’economia. E della politica: non devono essere loro ad annettersi la Margherita ma semmai il contrario, e per questo si sta lavorando anche a colpi di intercettazioni pubblicate, voci fatte girare, leasing sulle barche e nelle banche sbagliate. Un disegno organico insomma, sintetizzato con una formula efficace: un’Opa sul Partito Democratico.
Può anche essere vero, in politica si combattono gli avversari ma pure gli alleati (a volte soprattutto), dunque è scontato che ognuno faccia il possibile per spostare i rapporti di forza a suo favore. La famosa (o famigerata) egemonia. Se la storia finisse qui, niente di nuovo e neanche di male. Ma se invece sul serio si tratta di un complotto, allora scusate la domanda: perché i Ds vogliono fare un partito con Rutelli che nel frattempo complotta contro di loro?
La risposta non c’è, perché il nodo non è il complotto e nemmeno le strumentalizzazioni politiche che pure fioccano ma nascono comunque dai fatti. Il problema sono appunto i fatti. E qui, quando ti metti a discutere con i deputati diessini che hanno posteggiato la macchina e non amano la sindrome del complotto (Stalin ne fu gravemente colpito, Craxi meno gravemente), viene fuori la preoccupazione. Forte, a tratti un timore, a volte una paura. Perché sanno e perché non sanno.
Sanno per esempio che parlare delle Cooperative e dell’Unipol come fossero un mondo separato da quello dei Ds, è una stupidaggine. Non vogliamo chiamarlo collateralismo, chiamiamolo sintonia, parentela, fratellanza, amicizia, collaborazione, sinergia. Difficile immaginare che la scalata alla Bnl non fosse seguita da vicino dai vertici del Partito, e infatti nessuno disse il contrario. L’estate scorsa D’Alema parlò di «campagna razzista contro Unipol», Fassino rivendicò giustamente «la simpatia» che lega i Ds all’Unipol e al mondo cooperativo. E’ la verità, perché quel mondo (che oggi con ritardo sfiducia Consorte, che finalmente si dimette) è fondamentale per il suo Partito, il suo polmone economico, finanziario, sociale.
D’altra parte il numero delle telefonate di Fassino con Consorte (secretate, Fassino è un parlamentare e non è sotto inchiesta), di quelle tra lo stesso Consorte e D’Alema (anche queste secretate), le conversazioni pubblicate tra il presidente Unipol e il tesoriere del Partito Sposetti, testimoniano che i vertici della Quercia erano molto interessati a una scalata tanto rilevante sotto il profilo economico quanto sotto quello politico (una grande Banca nazionale controllata dal mondo cooperativo non può dispiacere al principale partito della sinistra, nonché del futuro, eventuale, governo). E fin qui, ancora, niente di male.
Ma se Consorte, definito fino a poco tempo fa un manager serio, uno che ha risanato e rilanciato l’Unipol, uno bravo, «uno di noi», si rivela invece diverso «da noi», più simile «a loro», allora lo scenario cambia. Allora ci si chiede come abbiano potuto D’Alema e Fassino fidarsi di uno così, che secondo le accuse apre conti all’estero, fa insider trading, soprattutto concerta scalate con personaggi a dir poco ambigui. E non lo fa nemmeno da solo, il suo vice Sacchetti lo segue passo passo: dunque sono almeno in due, troppi per essere una pecora nera.
Consorte però non lo conosce quasi nessuno, com’è nella tradizione questi rapporti si delegano ai vertici. L’onestà di Fassino e D’Alema è fuori discussione (lo dice anche Bertinotti), dunque se una colpa si attribuisce loro è la leggerezza, l’ingenuità, forse una certa ansia di entrare nel gioco grosso. Ma ogni giorno che passa, ogni giornale che esce, ogni nuova intercettazione è una tortura: la preoccupazione aumenta, diventa paura. Paura che venga fuori qualcosa di più, di troppo. Che Fassino sapesse troppo, che D’Alema si muovesse troppo. Che insomma i due, cioè il Partito, abbiano non solo appoggiato la scalata ma si siano prodigati (troppo) per favorirla. Entrando in stretto contatto con un mondo dal quale bisogna invece stare alla larga, altrimenti ci si scotta.
Un mondo che peraltro fece il suo ingresso in campo già sei anni fa, con D’Alema Presidente del Consiglio. La scalata di Colaninno e Gnutti alla Telecom, l’incoraggiamento del premier ai «capitani coraggiosi» (ma lui ha sempre detto di aver parlato solo di coraggio e non di capitani), la pesantissima accusa di Guido Rossi: «Palazzo Chigi è l’unica Merchant Bank al mondo in cui non si parla l’inglese». E quando i diessini ci ripensano, la paura cresce. Perché tra quella scalata e quelle di oggi sono molti i punti in comune, lo stile e gli uomini (lo stesso Gnutti). E se le avventure finanziarie di oggi non sembrano limpide, quella di allora lo erano? E se i magistrati scoprono irregolarità, anomalie, addirittura reati? E se, se, se?
Come il Partito, scherza un diessino spiritoso, ormai anche lo storico spettro ha cambiato aggettivo, anzi complemento di specificazione: continua ad aggirarsi ma oggi lo chiamiamo lo spettro della tangente.
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