Società

‘LIVE EVENT’
SUL FORUM: IL SETTORE HIGH YIELD

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Wall Street Italia pubblica un articolo sul mercato delle obbligazioni ad alto rendimento. Oggi, a partire dalle 15:30, gli utenti registrati sul Forum potranno dialogare in diretta con l’autore, Gianluca Galletto, uno dei pochi trader italiani a New York esperto di junk bond.

I lettori potranno inviare domande e ricevere “live” le risposte sui seguenti temi:

  • Perche’ il settore degli high-yield bond sta sovraperformando il mercato azionario.
  • Quale percentuale investire su questi strumenti a seconda del proprio profilo di rischio all’interno di una gestione di portafoglio.
  • Come si fa in concreto a investire direttamente dall’Italia: investimento diretto o tramite fondi specializzati.
  • I junk bond piu’ noti agli investitori italiani come WorldCom, Tyco, Dynegy, Nortel, El Paso e Fiat.

Dall’inizio dell’anno, gli High Yield bond restano l’asset class con la performance migliore. Per dare un’idea, dall’inizio dell’anno a fine gennaio, il DJ, l’S&P 500 e il Russell 2000 hanno riportato, rispettivamente , -4.63%, -3.88% e -3.95%, contro il +2.9% del Merill Lynch HIGH YIELD Master, il +3.58% del Salomon HIGH YIELD Master, il +0.35% del ML Corporate Master (investment grade corporates) e il +1.08% dei mercati emergenti.

Il settore High Yield ha continuato a mostrare un’ottima performance anche nel mese di gennaio, continuando la tendenza positiva di costante miglioramento iniziata alla fine dell’ottobre scorso. Solo nelle ultime due settimane c’è stato un lieve peggioramento con un aumento dello spread medio di una ventina di basis point. Specialmente la settimana scorsa (quella finita il 14 febbraio ndr) abbiamo osservato segni di debolezza dovuti all’aggravamento della crisi geopolitica in corso Mi riferisco naturalmente alla crisi irachena e ai più recenti sviluppi e a quella nord-coreana, che è ben più grave di quanto la visibilità sui media e le dichiarazioni ufficiali dell’amministrazione Bush lascino intendere.

-La parte del mercato con la performance migliore è stata quella dei bond di più bassa qualità, soprattutto la fascia dei cosiddetti distressed. Secondo Bear Stearns, i distressed bond in gennaio hanno guadagnato il 10%, i bond di categoria CCC il 7.4%, e quelli non rated il 5.2%. Per contro, i bond di categoria B hanno guadagnato solo il 2.68%. In pratica sono stati i settori più colpiti in precedenza a trascinare il rally.

In generale, in fasi di forte rally, come quella osservata a fine anno e in gennaio, sono proprio i bond di categorie più basse a fare la parte del leone. Quotandosi a prezzi molto bassi ed essendo generalmente molto volatili, bastano pochi punti di aumento di prezzo per ottenere delle performance anche molto elevate in termini percentuali.

I settori che hanno guidato questo rally sono: il tecnologico allargato (+10%), Telecom (+8%) e il settore Media (+3.6%). Molti gestori con approcci prudenti e poco volatili hanno “sotto-performato” il mercato. Il settore peggiore è stato quello dei Trasporti, con il -4.3%, dovuto soprattutto ai problemi che stanno attraversando le compagnie aeree. Lo high yield strategist di Morgan Stanley, Gregory Peters, ha sottolineato come il 10% del mercato abbia prodotto il 60% della performance.

Non bisogna lasciarsi prendere dai movimenti contingenti di certe fasce del mercato High Yield e pensare di investire nei titoli o nei fondi più volatili, a meno che non si abbia lo stomaco per sopportare gli stessi movimenti e sobbalzi nella direzione opposta. Infatti, nelle ultime due settimane in cui il rally si è fermato e il mercato ha subito dei lievi ribassi, già si nota come i titoli di peggiore qualità sono quelli che soffrono di più. Senza contare i possibili sviluppi in caso di un inzio del conflitto Usa-Iraq.

Nel lungo periodo e nel caso quindi di una visione d’investimento strategica, i “driver” del mercato restano i fondamentali dell’economia e delle imprese emittenti. Nell’ultimo anno c’è stato un continuo miglioramento del cash flow degli emittenti, dovuto a una concentrazione molto forte da parte dei vari management sulla ristrutturazione e la pulizia di biliancio. Quindi maggiore attenzione all’EBITDA rispetto agli EPS, e al taglio dei costi rispetto alle spese per investimenti (Capex). Il cash flow medio delle imprese emittenti ha mostrato un continuo miglioramento. Per esempio, nel quarto trimestre del 2002, l’EBITDA medio è cresciuto del 25% rispetto allo stesso periodo del 2001. Questo è stato e continuerà quindi a essere il tema dominante della corporate America e della corporate Europe per un bel po’.

Il miglioramento degli stati patrimoniali delle imprese, la diminuzione del tasso di default (al 12% in estate e ora sceso sotto il 10%), il fatto che a partire della fine dell’anno il rapporto far downgrade e upgrade abbia prima decelerato e poi cominciato a diminuire, sono tutti elementi che hanno consentito una migliore performance del mercato corporate rispetto a quella dell’equity. Nel 2002 la parte del leone è stata fatta dal mercato dei titoli di Stato, ma questa spinta sembra essersi esaurita perché i tassi sono ornai a livelli “giapponesi”. Il Libor a tre mesi è ormai a 1.3%, mentre il rendimento dei Treasury (decennali) è al 3.8%.

Nel mercato c’è molta liquidità alla ricerca di opportunità d’investimento, ma il mercato azionario non offre ancora vere prospettive di guadagno, e anzi fa ancora molta paura. Con i tassi sui titoli di Stato e sugli strumenti del money market arrivati ormai a livelli vicino ai minimi storici, i mercati del credito hanno offerto e continuano ad offrire probabilmente le migliore opportunità di guadagno con una esposizione al rischio tutto sommato moderata.

Nel 2002 il grosso della performance è venuta dai titoli che quotavano sopra 80 mentri quelli al di sotto di questa soglia hanno avuto performance molto deludenti. I gestori e gli investitori più prudenti sono stati quindi premiati. Un altro elemento da notare è che le società medio-piccole hanno performato meglio di quelle grandi. La ragione principale sta nel fatto che nel 2002 c’è stata una escalation di fallen angels (aziende passate dall’investment grade alla valutazione speculative) che sono arrivati a rappresentare il 30% del mercato. Questo settore e’ principalmente costituito da grandi società con masse di debito enormi diventate high yield a causa di vari downgrade e quindi di situazioni molto problematiche a livello finanziario. Worldcom, Tyco, Qwest, la stessa Fiat per il mercato High Yield europeo sono solo alcuni degli esempi piu’ famosi.

I fallen angels hanno pesato molto anche sul tasso di default. Se prendiamo il tasso di default calcolato non in termini di percentuale di emittenti in default sugli emittenti totali, ma in termini di percentuale di debito emesso in default sul totale del debito emesso, ci rendiamo conto di questo fenomeno: il tasso totale di default nel 2002 è stato pari al 15%, escludendo i fallen angels si scende all’8%. Non a caso la categoria BBB (investment grade) ha mostrato un tasso di default pari al 4.5% contro una media storica dello 0.6%, e quindi pari a 7.6 volte tale media.

Nel futuro la prospettive migliori potrebbero essere rappresentate dall’imminenza di un ciclo di rifinanziamento. Ci sono molti titoli per i quali si avvicinano le “call date” le date prefissate al momento dell’emissione in cui l’emittente può ritirare il debito prima della scadenza. Dal punto di vista delle società debitrici, i tassi così bassi rappresentano un’ottima opportunità per ritirare il debito ed emetterlo a rendimenti più bassi (operazione che si chiama debt refinancing). Anche per l’investitore si tratta di un’opportunità in quanto i titoli vengono generalmente ritirati a un premio sul prezzo di emissione e di scadenza.

*Gianluca Galletto e’ gestore di Muzinich & Co.