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(WSI) – L’ Italia esce dall’euro e si lega al dollaro. Che ingenui siamo stati ieri nel nostro racconto di fantaeconomia. Altro che liretta. Il marco. I giornali tedeschi sono pieni di voci e sospetti che possa essere la Germania a mollare. «Discussioni prive di senso», le ha liquidate Jean-Claude Trichet, presidente della Bce. Ma non se le inventano giornalisti immaginifici. Sono scenari degli operatori che ogni giorno cambiano centinaia di miliardi di euro e di dollari. Alla fine fine, gli uomini fanno la storia e la disfano.
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Il non dei francesi e il nee degli olandesi hanno disfatto il secondo trattato di Roma. Non c’è più discussione, con due soci fondatori che lo respingono, ha ragione Giuliano Amato. E adesso? L’agenzia Reuters immagina di stare davanti a un videoregistratore e usa tutti i bottoni a disposizione. Play, innanzitutto: andare avanti con la ratifica, sperando che più paesi possibili dicano sì. Stop: far finta che il trattato non sia mai esistito e tornare a Nizza evitando altri voti referendari. Una variante soft è mettere su pause, cioè attendere finché francesi e olandesi non abbiano cambiato opinione. Fast forward: concentrare tutti i voti di ratifica in un solo giorno, contare chi ci sta e andare avanti con loro, insomma una Europa a più velocità.
Ma è realistico fare a meno di Francia, Olanda e Gran Bretagna (Blair ha deciso di posporre il voto sine die)? L’ultima opzione è rewind: ammettere che la costituzione così com’è non decollerà mai, prenderne alcuni aspetti, quelli essenziali per migliorare il funzionamento della Ue (come il sistema di voto) e innestarli sul precedente Trattato. E’ quel che i tecnici chiamano Nizza plus. C’è, in realtà, anche una variante del fast forward, quella blairiana: accelerare sulla liberalizzazione dei servizi finanziari, lo stimolo all’economia, la riduzione dei sussidi agricoli e dei salvataggi di stato, aprire subito i negoziati con la Turchia. Ma è una pura provocazione, una piattaforma di scontro aperto con Chirac, anzi molto di più.
Melange di modelli. Il progetto della Ue era mescolare il modello anglosassone e quello renano. Così diventerebbero incompatibili. Lo shock è stato tanto forte che nessuno sa più che cosa dire. Silvio Berlusconi ieri ha dichiarato che occorre un ripensamento, una Ue con meno burocrazia e più sviluppo. Vero, ma anche questo non basta visto che le radici del rifiuto non stanno solo a Bruxelles, ma nei cuori dei popoli. E siamo poi sicuri dove batte il cuore degli italiani ossessionati dall’euro e colpiti dal modo in cui è stato introdotto? Sarebbe saggio, dunque, premere il tasto pause. Guardarsi attorno, ascoltare, ragionare.
Ma, dicono gli europeisti, la Ue è come una bicicletta: se non si pedala, si cade. Vero. Chi crede ancora nel progetto europeo, scartata la fuga in avanti blairiana e la inutile resistenza chiracchiana, ha un’altra possibilità. Dividere in più parti quelle duecento pagine. Adattare gli strumenti organizzativi sui quali c’è consenso (come nel rewind). E riaprire la discussione su un testo costituzionale fatto di pochi principi fondamentali. C’è il rischio di infiammare di nuovo la querelle sulle radici.
Non potremo sottrarci. Ma avremo la vera cornice che tiene insieme il puzzle europeo. Ci sarà tempo, poi, per emendare, aggiungere, adattare. La Costituzione americana è sempre quella, ma certo gli Usa di oggi non sono gli stessi: hanno aggiunto stati, istituzioni culture, razze, lingue. Samuel Huntigton si chiede chi sono adesso gli americani. L’unica risposta è: quelli che accettano le settemila parole scritte a Filadelfia e ratificate nel 1789 quando i sanculotti marciavano sulla Bastiglia.
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