Riceviamo e pubblichiamo:
Caro Direttore,
da anni gestisco titoli simili alle obbligazioni Cirio. La societa’ per cui lavoro e’ specializzata nella compravendita e nell’analisi del rischio di credito di quei titoli obbligazionari che qualcuno ancora chiama “junk bond” (sono invece high-yield bond) e che i media definiscono spesso “aziende decotte”.
Che le societa’ “spazzatura” esistano e’ indubbio. Generalmente, pero’, ci si riferisce a questo tipo di emittenti con il termine ‘distressed’, una categoria a parte per la quale esistono hedge fund e gestori specializzati.
Quelle come Cirio sono invece societa’ che scelgono strategicamente di finanziarsi con un’alta leva: un alto rapporto fra debito e capitale azionario (debito che preferiscono sia collocato piu’ sul mercato dei capitali piuttosto che presso le banche). Il punto e’ che si tratta di aziende per le quali il rischio di credito e’ elevato, a volte molto elevato (ricordiamo che piu’ basso e’ il rating piu’ alto e’ il rischio). Non a caso queste societa’ remunerano il rischio con cedole che rendono molto.
Ed e’ proprio per questo che per investire in tali titoli occorre analizzare nel dettaglio i conti delle societa’. Cosa che possono fare solo gli investitori professionali. Anche perche’ la liquidita’ di questi bond non e’ elevata e, soprattutto in casi come quello Cirio, o di altre situazioni nelle quali la liquidita’ di strumenti ben meno rischiosi viene a mancare, essa puo’ dileguarsi soprattutto per importi di piccolo taglio.
Il caso Cirio e’ di enorme gravita’ per il nostro mercato dei capitali e per le conseguenze che sta avendo sui piccoli investitori. Si spera che l’affaire Cragnotti costituisca un’ulteriore lezione per gli investitori (dopo il caso Argentina, che ha sfatato il mito secondo cui gli stati sovrani non defaultano), e insegni loro che non bisogna acquistare titoli con un rischio di credito elevato (e che fra l’altro non hanno neanche un rating presso le agenzie) solo sulla base della fiducia nella propria banca e nel nome della societa’ in questione, per quanto altisonante esso possa essere.
E purtroppo oggi cio’ vale anche per i titoli ad alto rating. Vi ricordate che fine ha fatto Swissair, che era una ‘AAA’, la piu’ blue delle blue chip europee? E che dire di WorldCom, colosso delle tlc con un brand fortissimo negli USA? E non si tratta di titoli “junk”, ma di obbligazioni che avevano un giudizio di “investment grade”.
I titoli Cirio erano classificati “non rated” (NR). Cio’ significa che la societa’ non si era mai fatta dare, dalle agenzie specializzate come Moody’s o Standard & Poor’s, un giudizio sul proprio debito, elemento fondamentale per la classificazione del rischio di credito e per la probabilita’ di default, e di conseguenza un fattore molto importante per l’orientamento del mercato sul pricing.
Piu’ volte ci e’ stato offerto di acquistare titoli “non rated”, incluse le Cirio, ma non lo abbiamo fatto: in primo luogo perche’ per politica aziendale non compriamo titoli senza rating, poi perche’ il prezzo non era per noi adeguato. L’altro problema di Cirio e’ infatti che la cedola offerta dalla societa’ era bassa rispetto al rischio di credito. Cirio pagava un prezzo che un investitore istituzionale specializzato non avrebbe accettato.
Ma perche’ Cirio avrebbe scelto di non farsi assegnare un rating? E’ possibile che sia stato solo per il piccolo risparmio ottenuto dal non dover pagare ogni anno le commissioni alle agenzie specializzate? O era anche perche’ un giudizio sul credito avrebbe comportato una maggiore trasparenza dei conti e avrebbe rappresentato quindi un elemento essenziale per il pricing?
L’assenza di un rating rischia infatti di offuscare il grado di rischio di credito al momento dell’emissione, motivo per cui l’azienda riesce a pagare una cedola inferiore a quella che il mercato chiederebbe.
Mi chiedo se le autorita’ di Vigilanza, sempre molto pronte a svolgere il ruolo di cane da guardia quando si tratta di valutare l’ingresso di operatori stranieri (in Italia un fondo comune armonizzato europeo ha ancora bisogno di autorizzazione, e la procedura non e’ affatto immediata), non dovrebbero esaminare piu’ da vicino emissioni come quelle di Cirio, che incidono direttamente sui portafogli delle famiglie, ed essere piu’ severe con l’operato dei “trustee” e di tutto il sistema, che dovrebbe tutelare gli obbligazionisti?
Il rischio e’ che un Paese con una struttura industriale e proprietaria come il nostro, che avrebbe bisogno di fare maggiore ricorso al mercato dei capitali (non solo azionario, ma anche obbligazionario), non riesca a far sviluppare in maniera sana il mercato dei corporate bond, che rappresentano un’ottima ulteriore fonte di finanziamento delle imprese, dopo il debito bancario (generalmente a breve, a costo variabile e con garanzia) e la borsa.
Questo mercato necessita dell’interesse di grandi investitori istituzionali in varie parti del mondo che non guardano al fatto che un bond si chiami Cirio piuttosto che Tiscali, e che nella maggior parte dei casi non acquistano titoli “non rated” e con cedole non adeguate.
Il rischio e’ che, relegato all’interno del Paese e rivolto soprattutto al retail, il nascente mercato delle obbligazioni corporate resti asfittico e un po’ drogato. Cio’ va a danno delle aziende da un lato e degli investitori e di tutto il sistema finanziario creditizio dall’altro, a causa della sfiducia che semina.
Qualche anno fa, il numero uno della Federal Reserve, Alan Greenspan, a proposito della crisi asiatica disse che se quei Paesi avessero avuto un forte mercato dei corporate bond avrebbero subito probabilmente delle conseguenze meno gravi: nei momenti di crisi, infatti, mentre le banche chiudono i rubinetti, il mercato obbligazionario chiede solo un interesse piu’ elevato.
Cordiali saluti,
Gianluca Galletto
*Gianluca Galletto e’ gestore di Muzinich & Co., una banca d’affari di New York.