Non è crisi della democrazia quando gli elettori preferiscono con il voto liberamente espresso un (mediocre) attore, un (discutibile) imprenditore, un politico (prestigiatore) a grigi, sbiaditi e spesso arroganti politici di mestiere. Semmai è proprio, specificamente e quasi esclusivamente, una crisi della politica e una vittoria dell’antipolitica nelle sue numerose manifestazioni possibili.
In California, la democrazia ha operato in maniera perfetta secondo le regole statuite. La revoca (la recall, è opportuno ricordarlo, piaceva anche a Karl Marx, che avrebbe voluto applicarla a partire dalla Comune di Parigi) è stata democraticamente votata da più del 50 per cento degli elettori. Poi, con le regole vigenti, le stesse con le quali era stato eletto il precedente governatore democratico, Schwarzenegger ha conquistato la carica in lizza.
In Italia, nel 1994, era cambiato il sistema elettorale. Padroneggiandone i meccanismi meglio della classe politica tradizionale, istupidita e intorpidita dalla proporzionale, Berlusconi occupò quello spazio politico disponibile, creò quelle coalizioni necessarie e vinse le elezioni sull’onda del vanto dei suoi precedenti successi personali (che, in un modo o nell’altro, erano reali e concretissimi).
In Gran Bretagna, il vuoto politico era stato creato da Mrs. Thatcher con la sua drammatica affermazione che «non esiste una cosa chiamata società». Negli interstizi di un individualismo egoista, della non-politica e di una modica dose di antipolitica, si inserirono gli spin doctors, gli esperti dell’inganno, agevolati dalla personalità duttile di Tony Blair, tutt’altro che un neofita nell’arte dello spin.
In tutti e tre i casi, la democrazia ha funzionato consegnando il potere di governo ai vincitori legittimi di competizioni elettorali non truccate (magari appena squilibrate dal potere del denaro e dalla superiore capacità mediatica di alcuni candidati).
La sconfitta, dolorosa e profonda, riguarda la politica (e i politici di mestiere). In California, questa è una sconfitta sempre possibile e, di tanto in tanto, effettiva. Nel passato, è stata una sconfitta già sperimentata non tanto con Reagan, che di politica ne aveva fatta e la politica non disprezzava, ma, ad esempio, con il governatore democratico Jerry Brown, quasi un figlio dei fiori, e, naturalmente, anche con le varie iniziative legislative popolari a partire dalla famigerata Proposition 13, la vera madre di tutte le rivolte antitasse.
In Gran Bretagna, la politica non è tanto sconfitta quanto manipolata, con i rischi che ne seguono e con i costi che Blair pagherà per sé e probabilmente farà pagare al “suo” partito laburista. In Italia, l’antipolitica è una caratteristica non tanto carsica della (in)cultura civica e politica del paese dall’inizio del XX secolo con Prezzolini e Papini e le loro riviste, espressa da alcune componenti del fascismo, riemersa con il movimento dell’Uomo Qualunque.
L’antipolitica c’è. Venne tenuta sotto controllo nei rispettivi elettorati dalla Dc e dal Pci, ma non venne da loro “educata” e neppure trasformata. E’ riapparsa in maniera cospicua con Berlusconi, ma se persiste e gli giova la responsabilità principale è dei politici e dei commentatori politici.
La politica italiana è oramai stata ridotta a pettegolezzo-gossip, a battute e barzellette non soltanto da Berlusconi, ma da molti politici di lungo e breve (ma destinato a durare) corso e da commentatori/opinion-makers di sinistra, a cominciare, mi spiace dirlo, da Giampaolo Pansa e dal suo “bestiario”, e dai suoi imitatori postitaliani. Fatta di “bestie” politiche, la politica diventa facile preda di cacciatori antipolitici.
La politica ridotta a scherzo e sarcasmo, ad opera di pure intelligenti, epperciò più colpevoli, scrittori di sinistra, a balletti, nel senso reale della parola, eseguiti in televisione, a risotti confezionati da dirigenti politici, perde la sua dignità, annebbia la sua funzione, viene banalizzata prima di essere, inevitabilmente, rifiutata e buttata.
La sinistra, il suo popolo, i suoi attori e i suoi registi, hanno finito per accettare il terreno di gioco degli antipolitici, dei loro lazzi e dei loro sberleffi, e, giocando in trasferta, hanno perso. La vittoria di Schwarzenegger parla anche di noi, di quelli fra noi che non hanno capito la lezione più profonda della vittoria di Berlusconi.
Il centrosinistra italiano potrà anche vincere, se l’unto del Signore continua a fare errori, ma se non ricostruisce il senso e la dignità della politica, con lo stile, i comportamenti, le dichiarazioni dei suoi esponenti, sarà una vittoria che non cambia e non migliora il paese. Soprattutto sarà una vittoria che non ridimensiona l’onda lunga lunga dell’antipolitica.
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