Società

LE VITE PARALLELE
DI TANZI, CRAGNOTTI E GARDINI

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In comune i grandi bancarottieri contemporanei hanno la capacità di raccontare storie incredibili ma spesso credute.

Raul Gardini, pochi giorni prima di spararsi, mi chiamò nel suo ufficio milanese e presa carta e matita mi elencò tutte le quote familiari di un patrimonio arcimiliardario che lo mettevano al sicuro dal fallimento. A che gli serviva? A niente. Le sue dichiarazioni non sarebbero certo bastate a ripianare i miliardi persi nel Canada con il commercio del grano.

Calisto Tanzi ha raccontato ai giudici una storia non solo incredibile, ma comica: in fuga con la moglie dall’Italia sarebbe arrivato in Perù per il desiderio romantico di fare una visita alle Galapagos, alle loro isole misteriose e alle loro foche. Come nei reportage televisivi di ‘Alle falde del Kilimangiaro’.

Il loro collega in crac, il Cragnotti della Cirio mentre affondava nei debiti, assisteva alle partite di calcio della sua Lazio.

L’impressione è che tutti e tre non si fossero preparati una versione credibile di una bancarotta che li superava in magnitudine e inesplicabilità. Di tutti e tre non si è capito perché siano passati da fortune colossali a perdite abissali, se non per dabbenaggine in quegli affari in cui pareva fossero irresistibili: iniziative industriali insulse, trucchi infantili per nascondere le perdite, investimenti prevedibilmente catastrofici come la Coppa America di Gardini e le squadre di calcio da scudetto degli altri due.

Tutti e tre legati a uomini politici avventuristi, usati e favoriti in un giro di pubblica corruzione. Pieni di soldi per un mecenatismo sportivo di livello vistoso, ma di bassa qualità, in tribuna d’onore allo stadio o alle grandi regate circondati da cortigiani, felici di allori sportivi acquistati dai loro mercenari, calciatori e velisti.

Il migliore dei tre era certamente Gardini, un pirata romagnolo che giocava grandi azzardi sulla sua pelle, furbastri e manovrieri gli altri. Tanzi addirittura baciapile e finto filantropo. Tutti e tre di biografie incerte. Nessuno è mai riuscito a capire come Cragnotti sia uscito dallo scandalo Enimont con un patrimonio personale di cento miliardi, come Gardini fosse diventato il capo clan dei Ferruzzi e uno che si chiama Calisto capo di un impero su cui non tramontava mai il sole e si ammucchiavano falsi in bilancio.

Tutti e tre arricchiti e perduti dal ramo alimentare, dove la chiarezza dovrebbe essere d’obbligo. Al momento che il commercio dei salumi e del latte non dovrebbe essere arcano.
Tipici esemplari di un mondo imprenditoriale di bassa cultura e di mediocri frequentazioni, le loro corti erano di una modestia umana impressionante, velisti muscolosi e mediatori di calcio. Uguali anche nei debiti spropositati, 70 miliardi di lire il Parma, centinaia la Lazio, milioni di bottiglie di latte o di scatole di pelati per essere intervistati alla ‘Domenica sportiva’.

E soprattutto un cinismo stratosferico, una capacità di mandare in rovina azionisti e risparmiatori, parenti e amici, modestissimi anche nel modo di truffare.

Tanzi per anni si è fabbricato con un suo scanner documenti falsi che testimoniavano di somme mai possedute, di fortune mai avute. Pari in grossolanità solo ai pubblici ufficiali incaricati di difendere il risparmio, di impedire frodi gigantesche spiegabili solo dal vuoto che le circondava: grandi banche, alcune fra le più grandi banche italiane che per anni non si erano accorte del colossale imbroglio.

Aggiungiamoci una informazione che per settimane ha riempito le pagine dei giornali e gli spazi televisivi senza che si capisse dove erano finiti i soldi, se il Calisto era solo un bamba o un incallito delinquente che sfilava i miliardi dalle tasche altrui mentre benificava i parroci e aiutava i deboli.

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