Società

LE BALLE CHE CI RACCONTANO

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(WSI) – Scrive il professor Giuseppe De Rita, stimato sociologo di esperienza e talento, che “verosimilmente è stata più forte la paura di impoverire che l’impoverimento reale”, e che sebbene si debba avere comprensione per le paure dei ceti a reddito fisso, che certo non stanno celebrando alcuna cuccagna, “sarebbe disonesto dimenticare che i dati dell’anno in corso segnalano un forte aumento della patrimonializzazione delle famiglie, un forte aumento degli investimenti immobiliari, un buon incremento degli investimenti mobiliari e dei loro rendimenti, un relativo attestarsi su comportamenti di medietà dei consumi” (Rapporto Censis, 2004).

Come sanno i lettori di questo giornale, da tempo agitiamo simili osservazioni “deritiane”, da tempo facciamo appello a non bersi il cervello perché un tg o un quotidiano ha detto o scritto che nessuno fa più regali a Natale, che le tredicesime sono falcidiate di due terzi, che i prezzi galoppano al ritmo del 20 o 30 per cento, che ci sono due milioni di bambini poveri la metà dei quali è proprietaria di un telefonino. E’ una circostanza felice che da una cattedra autorevole come quella del Censis arrivi un allarme pacato, metodologicamente rigoroso e non pretestuoso, sullo spirito apocalittico, spesso banalmente partigiano o fazioso, che pervade l’informazione corrente.

In Italia la questione di come una comunità occidentale macina la propria idea di sé è particolarmente intricata. Perché abbiamo uno spirito informale nell’arrangiare la notizia, perché siamo profondamente e incurabilmente divisi perfino intorno a quelli che dovrebbero essere i pilastri di un sistema sociale politico e costituzionale, perché la nostra intellighenzia è un po’ da circo, scuola e accademie e istituzioni della ricerca sono spesso sbrindellate, e il giornalismo si divide volentieri in truppa di governo e truppa di opposizione.

Soprattutto, i numeri da noi non hanno alcuna autorità. Basta guardare le notizie della sera, leggere un paio di editoriali, sorbirsi un talk show (non importa se di destra o di sinistra): i numeri ballano, la parola più spesa per chi offre un numero è “bugiardo!”, il clima è quello della sfida e del duello e dell’incredulità di tutti verso tutti. Compare un numero che riguarda il nostro modo di vita, e volano gli schiaffi. La storia dei cappuccini fiscali, ben architettata da quel genio del male che risponde al nome di Eugenio Scalfari, è lì a dimostrarlo.

Come spieghiamo in prima, i lavoratori si battono e scendono in piazza e fanno le loro sacrosante barricate per un cappuccino ogni due giorni, ma se è il governo a offrirne uno al giorno senza bisogno nemmeno di lottare, con i tagli dell’Irpef, quella è una miseria. Intanto il paese reale cresce o se la cava e patrimonializza almeno quanto Repubblica patrimonializza lo scontento indotto, ma non crescono la sua cultura, non i suoi costumi, non la sua lealtà verso se stesso.

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L’ITALIA VEROSIMILE

Secondo il centro di indagini sociali più prestigioso (il Censis) l’Italia è più ricca di quanto non creda, riscopre il sacro contro l’indifferenza e il “fatalismo individualistico”, soffre di disagio etico di fronte alla tecnica, si rifugia nel corpo.

(WSI) – L’Italia “galleggiante” è alla ricerca di basi solide sulle quali assestarsi, e la sua società sostanzialmente indifferente, refrattaria a farsi scalfire anche dai grandi eventi nazionali e internazionali, comincia ora a essere scossa dal ritorno del sacro e dal disagio etico legato all’artificialità della tecnica e del diritto. Sono queste le vere novità che emergono dal trentottesimo rapporto del Censis sulla situazione sociale del paese.

Accanto allo stato dell’arte dei processi “di ieri e dell’altro ieri” (il sommerso, la forza della piccola impresa, la proliferazione del lavoro individuale, il localismo economico, il carattere di medietà dei comportamenti di consumo, la tendenza a vivere “altrimenti” che nello sviluppo o nel declino, la ricerca di una più alta qualità della vita, la predilezione per l’insediamento nei piccoli comuni), per la prima volta il Censis indica i temi che, a suo giudizio, rimarranno durevolmente al centro dell’attenzione nei prossimi anni: “Il ritorno dell’importanza del sacro, ancorché degradato, in ragione specialmente del contrasto di fondo con culture e prassi di tipo fondamentalista; il disagio etico causato dalla sempre più orgogliosa artificialità e autoreferenzialità di tecnica e diritto, come verosimilmente vedremo nei prossimi mesi con le vicende della legge sulla procreazione assistita; la crisi della dimensione temporale della vita collettiva e la crescita di importanza della dimensione spaziale”.

La tecnica, spiega il segretario generale dell’istituto, Giuseppe De Rita, “sempre più si manifesta (soprattutto per via del dibattito sulla fecondazione assistita) come una forza autoreferenziale, che mette in crisi il giudizio del singolo e non gli consente di reagire con la semplice rimozione”, mentre da parte degli addetti ai lavori si rivendica l’esclusiva titolarità a decidere. “Mi fa rabbia – ha detto De Rita nel corso della presentazione del rapporto – che i leader che vogliono governare l’Italia stiano zitti su questo disagio trasversale”, che certamente emergerà se ci sarà il referendum sulla procreazione assistita. E poi c’è il ritorno del sacro, che sembrava un residuo, ha sottolineato De Rita, “anche per i giudaico-cristiani, figuriamoci per chi non crede. Invece torna a essere importante, specialmente nel contrasto di fondo con culture di tipo fondamentalista”. Ci si interroga sul fatto che c’è gente che si uccide o uccide in nome del sacro, e questo “ci pone il problema del che fare della nostra soggettività, dell’idea che bastiamo a noi stessi”.

L’insopprimibile riferimento alla propria sfera soggettiva spiega il fatto che al ritorno del sacro, anche alienante e violento, “abbiamo risposto con una grande rimozione”. E se gli italiani si sono commossi per i nostri soldati e per il sequestro e l’uccisione di connazionali, “non si è voluto approfondire il duro confronto con i tanti problemi che ci vengono posti dal difficile rapporto con culture che esasperano il sacro”.

Il disagio etico, lo sconcerto di fronte a un sacro “negativo” sono, dice De Rita “problemi che accomunano laici e cattolici” e che non trovano risposte automatiche nella religione e nella politica. Da qui quella ricerca dei fondamenti che si potrebbero definire “umani”, pregiuridici e pretecnici, che ciascuno deve trovare in se stesso. Come se quel “policentrismo” allergico alle strutture gerarchiche che ci caratterizza, dice in fondo De Rita, e che connota la nostra economia e il nostro modo di essere società, valesse anche per le cose ultime.

Impauriti, più che poveri. “Verosimilmente è stata più forte la paura di impoverire che l’impoverimento reale, ma è anche vero che in questo periodo si guarda al futuro con timore diffuso; e che le paure collettive non devono mai essere sottovalutate, tanto più se traggono alimento dal disagio oggi esistente nel grande segmento sociale del ceto impiegatizio a reddito fisso, che più pesantemente avverte l’insostenibilità della crescita del costo della vita.

Ma sarebbe disonesto dimenticare che i dati dell’anno in corso segnalano un forte aumento della patrimonializzazione delle famiglie, un forte aumento degli investimenti immobiliari, un buon incremento degli investimenti mobiliari e dei loro rendimenti, un relativo attestarsi su comportamenti di medietà dei consumi. Dovremo forse aspettare ancora del tempo per capire se nel prossimo futuro vincerà nella psicologia collettiva la drammatizzazione dell’impoverimento o una ancor più cinica propensione a prescindere da preoccupazioni economiche. Oggi comunque i processi mutanti sono due: la divaricazione crescente fra ceti patrimonializzati e ceti di puro reddito; e la tendenza ad attestarsi tutti su quella combinazione antica dei comportamenti economici (la combinazione fra sobrietà e medietà) che ha fatto la nostra storia, anche quando è stata avvertita come risicatezza”.

Il ritorno del sacro. “Per qualche decennio la nostra cultura e la nostra psiche collettiva avevano rimosso la dimensione del sacro, con lo snobismo di dichiararlo morto insieme alla morte di Dio, dell’eternità, della speranza ultraterrena. Poi nell’ultimo anno esso ci è rientrato dentro, con una successione di morti in guerra, rapimenti, assassinii ritualizzati e no, atrocità televisive e fotografiche che fanno un po’ da colonna emotiva ad una riproposizione del fondamentalismo religioso, alla scelta della violenza come arma, al totale dispregio del primato della persona umana.

In un conflitto dove non c’è il rapporto per noi ordinario dell’uomo con se stesso e con “l’altro”, ma dove si combattono radicali concezioni della vita, con l’esplicito violento bisogno di sopraffazione dell’altro ed anche di se stessi, di uccidere sgozzando o morire come bombe umane. Tutto ciò ha messo in crisi l’orgoglioso soggettivismo del nostro modello di sviluppo, dove gli scontri di civiltà che pure ci sono stati (si pensi allo scontro ideologico dopo la seconda guerra mondiale) erano stati depotenziati e poi sconfitti da una crescente e trionfante soggettività: dell’imprenditorialità, del lavoro autonomo, dei consumi, dei comportamenti individuali, dei diritti, della stessa dimensione etica. Forse per questo insopprimibile riferimento alla propria sfera soggettiva abbiamo risposto al ritorno alienante e violento del sacro (nessuno se ne adonti) con una grande rimozione, quasi un ripiegamento nel fatalismo individuale”.

Diventa decisivo lo spazio. “Non c’è chi non veda che i due grandi fenomeni esplosi negli ultimi mesi (il ritorno degradato della violenza del sacro e la crescita dell’artificialità di scienza e diritto) rompono non solo l’aurea tranquillità in cui vorremmo vivere, ma anche e forse specialmente la nostra recente affezione allo sviluppo socioeconomico, al progresso collettivo, alla storia costruita collettivamente nel tempo.

Se la nostra vita futura non è più dominabile da noi (perché appiattita dal dominio della scienza e del diritto, dalla atemporalità del sacro) non è più decisivo il tempo; e diventa di contro importante lo spazio, la gestione della spazialità. Questa è la risposta corrente, si tratti dello spazio che delimita e fa parlare i nostri borghi; si tratti di appartamenti ed isole virtuali per gli spettacoli televisivi; si tratti delle strategie industriali centrate sulla de-localizzazione spaziale; si tratti di tutti gli investimenti nelle aree agricole e interne ‘per non lasciare spazi vuoti’; si tratti di conflitti su dove localizzare gli impianti di smaltimento dei rifiuti; si tratti del ritorno dello spazio localistico nella redistribuzione del potere; si tratti della crescente importanza della gestione del territorio e dei suoi flussi (dalla logistica al cabotaggio alla difesa del paesaggio); si tratti infine di quella spaziale tentazione che è il narcisismo del corpo (‘l’unica estensione che è tutta nostra’)”.

(citazioni dal 38° Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese 2004).