(WSI) – Il nuovo cavallo o cavallino da corsa è lui, Luca Cordero di Montezemolo, LCdM. Sarà un’entrata in pista invece che una discesa in campo, fatto sta che il patron della Ferrari è già naturaliter candidato alla politica, secondo le fonti meglio informate. Bisogna dunque andar giù di opinione, confessare (per quanto conti) quel che si pensa in un paese già fortemente proclive all’inchino gentile e preventivo, alla lode sottile, all’idea che Luca non è affatto quel lightweight che credete, ha il senso della squadra, sa come si fa, e tutto quel che in lui luccica non luccica per caso, per giro di amicizie, per afflato mondano.
Sapore di bandwagon, come dicono gli americani, e profumo di charme, come recita il titolo del gruppo imprenditoriale d’immagine e buone essenze che è la minuscola creatura chic di LCdM.
Simpatico è simpatico. Un po’ buffo nella sua eccessiva eleganza, eccessiva asciuttezza, eccessiva levità tricologica. Ma simpatico. E attenzione: simpatico è forse l’unico aggettivo che davvero conti qualcosa nel rapporto tra i leader e l’opinione pubblica italiana, alla quale nessuno è riuscito mai a rifilare, e Dio sa se ce ne sarebbe bisogno, una leadership fondata sulla gravitas, sul senso del dolore dell’esistenza accoppiato all’ottimismo della volontà.
Si tratta dunque di un giudizio politico nel tempo dei media e nel paese dei balocchi, quando diciamo che quel tipo risulta simpatico, non di una notazione a margine.
Però è sempre in agguato, in storie come queste, l’eccesso di zelo, l’esagerazione, il taglio dei tempi. Finché era alla Ferrari, il traguardo era chiaro e bisognava tagliarlo in velocità, poi champagne per tutti. Ma con l’associazione degli industriali, e soprattutto con la Fiat, le cose sono cambiate.
Il traguardo della politica e dell’industria «pesante» non è così chiaro, è sfuggente invece, e si può tagliare solo con una certa lentezza, con un passo solido da randonneur, da campeggiatore nel campo incerto dei conti che uccidono, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e del negoziato, roba da far tremare le vene ai polsi. Non è un po’ presto per avanzare pretese sul potere dei poteri, sulla politica, per quanto evanescente e frivolo questo potere possa sembrare nell’Italia della bandana?
LCdM ha gettato all’aria la cravatta davanti ai giovani rampolli dell’imprenditoria, ma non è ancora il Cav., non ha di Silvio Berlusconi la caratteristica fondamentale all’atto di partenza: il senso del drammatico, dello spettacolo della politica e del potere come scommessa esistenziale. Berlusconi ha combattuto l’Italia delle manette anche con la bandana, e ha vinto, ma la sua parabola nasce nel tempo fosco della Repubblica delle procure, nei rivolgimenti rivoluzionari dell’antipolitica all’indomani della caduta del Muro di Berlino e della crisi della Prima repubblica.
Il nostro Luca è per lo meno un politico virtuale ancora in attesa di battesimo. E quel battesimo se lo deve andare a cercare: si chiama rischio, intervento incisivo e tagliente su uno o due dei grandi problemi nazionali di oggi, e in più in un contesto mondiale in cui le ombre che non abbronzano, gli spazi labirintici e bui della guerra al terrorismo si allungano sulla sensibilità comune e rendono la politica un osso durissimo.
Per adesso la sola ipotesi di LCdM in politica ha svelato qualcosa di importante sulla personalità di due interlocutori naturali di un’impresa del genere: Berlusconi e la nota lobby (la definizione immortale è di Francesco Cossiga), cioè il gruppo editoriale-finanziario Carlo De Benedetti con il suo araldo Eugenio Scalfari.
Come al solito, contravvenendo alla vulgata corrente, Berlusconi si è comportato da gran signore e da persona sicura di sé. Ha addirittura offerto la sua investitura per la successione a un uomo come Montezemolo, che considera da sempre suo giovane amico, e ha dato segno di volergli, tra il serio e il faceto, tirare la volata.
I debenedettiani, invece, hanno mostrato il volto cupo, conservatore, egoista del loro gruppo d’interesse: parole aspre, enigmatiche, come si trattasse di un reato penale, di un’ambizione da censurare prima che si manifesti, un cumulo come al solito di invidia sociale e di scongiuri da perdenti.
Ho letto da qualche parte che LCdM vuole emulare il suo vecchio amico e protettore Giovanni Agnelli, quando fu tentato con un pezzo della sua famiglia (Umberto e Susanna) di dare una mano al paese della politica in crisi, erano gli anni Settanta.
Ma ogni paragone è assurdo, in questo campo. È cambiato talmente tanto il panorama italiano che ogni discepolato è interrotto, ogni modello tradizionale è infranto, e poi gli Agnelli, alla resa dei conti, hanno sempre fatto politica costruendo la Fiat come uno stato nello Stato, usando lo spessore delle lamiere e la virtù dell’ultimo modello, piuttosto che la partecipazione alla vita pubblica.
Insomma, Montezemolo deve abituarsi all’idea, se volesse davvero entrare in pista, che gli tocca costruire se stesso come precedente a se stesso, e che il battesimo del fuoco, quell’insieme di atti e posizioni che fanno di un leader un leader, deve andare a prenderlo da un suo Giovanni Battista di cui tuttora non si conosce l’indirizzo, usando, se ce l’ha, un suo coraggio. La politica è profezia, servono atti premonitori, che nella sua carriera tuttora mancano.
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