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Lavoro: riforma Fornero non funzionera’ perche’ ipocrita

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Roma – Sull’eventuale riforma del contratto unico e modifiche all’articolo 18, il governo da un lato e’ incalzato dai sindacati e dall’altro e’ sostenuto da Confindustria. Ma nel dibattito infuocato sul lavoro, da che parte sono schierati i docenti di diritto? Sicuramente non dalla parte della proposta Ichino e Fornero.

“Sostenere che le imprese italiane non assumono i giovani per colpa dell’articolo 18 e’ una forzatura”, dichiara in un’intervista a Wall Street Italia, Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro all’Universita’ di Modena. “Se una azienda vuole veramente inserire nell’organico un ragazzo lo puo’ gia’ fare, con il contratto di apprendistato. Che poi sia sbagliato parlare di riforma dell’articolo 18 ora che stiamo entrando in piena recessione, e’ ancora piu’ evidente”.

Si fa tanto rumore per nulla sulle eventuali modifiche all’articolo 18, secondo il professore, quando invece sarebbe meglio sfruttare le opportunita’ che gia’ sono presenti nell’insieme di normative italiane e affrontare altri temi nuovi. Bisognera’ fare in fretta, pero’, se si vuole evitare di alimentare insicurezze, divergenze e tensioni sociali in un paese che gia’ dovra’ sopportare almeno un anno di recessione e misure di austerita’.

La bocciatura della proposta del giuslavorista del PD Pietro Ichino e’ netta. La riforma del contratto unico si presenta bene sulla carta, perche’ prevede che sia l’imprenditore a pagare il sostegno al reddito del lavoratore licenziato per cui non si porrebbe, almeno direttamente, un problema di maggiore spesa pubblica. Ma non puo’ funzionare. Per il semplice motivo che si fonda su un’ipocrisia.

“Si chiama contratto unico, ma le proposte sin qui presentate tengono in vita gli stage e il lavoro a termine, l’interinale e il lavoro a chiamata”, spiega il direttore scientifico del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi”. “Se si vuole parlare di abrogazione dell’articolo 18, lo si faccia apertamente”.

Secondo Ivan Scalfarotto del PD la riforma proposta da Ichino, unanimamente considerata molto vicina al progetto che sta valutando il governo Monti, non contempla la cancellazione dell’articolo 18, bensi’ un “allargamento dei diritti a oltre quattro milioni di lavoratori che oggi sono tagliati fuori da ogni tutela”. Lo ha dichiarato il vice presidente del partito di centro sinistra durante la trasmissione della Rai Agora’.

Ma il progetto per un mercato occupazionale sulla falsa riga del sistema di flexy security danese, pensato da Ichino e rilanciato da Monti-Fornero, non e’ fattibile in un contesto di crisi. Secondo Tiraboschi dovremmo piuttosto “dotare le imprese italiane di forza lavoro competente e di qualita’, anziche’ alimentare insicurezza e tensioni sociali”.

Ichino ha cosi’ spiegato il suo piano: la cancellazione di contratti a progetto e simili ha l’obiettivo di abolire le forme di lavoro precario. L’assunzione a tempo indeterminato avverrebbe subito con un periodo di prova di sei mesi e a seguire un regime di protezione crescente con la durata del rapporto di lavoro. Tra gli ammortizzatori sociali, verrebbe introdotta un’assicurazione contro la disoccupazione e maggiori indennita’, la cui copertura economica spetterebbe in parte allo stato e in parte ai datori di lavoro.

La riforma cosi’ come si presenta – e se cosi’ sara’ impostata dal ministro del Welfare Elsa Fornero – ha indubbiamente dei limiti, ma per la prima volta rappresenta un’idea volta alla risoluzione del problema della precarieta’. Il problema – sostengono i tecnici esperti in materia – e’ che la strada da percorrere per riformare il diritto del lavoro e’ un’altra.

L’articolo 18 impedisce il licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Secondo gli industriali blocca la flessibilita’in uscita, per i sindacati e’ una “norma di civilta’”. Nell’accesso dibattito emerge una irremovibile certezza: ci sono temi piu’ urgenti da affrontare per flessibilizzare il lavoro. E non e’ l’articolo 18, che fa parte dello Statuto del Lavoro del 1970, il fattore che irrigidisce in uscita e in entrata il sistema lavoro in Italia. Il vero cancro da debellare sono i contratti in nero.

Secondo un rapporto dell’Ocse, infatti, il nostro mercato del lavoro non e’ piu’ rigido di altri paesi comparabili (Francia, Germania, Spagna, Olanda) e non esiste alcun fondamento empirico dell’opinione che una maggiore flessibilita’ in uscita aumenti l’occupazione. Quanto alla maggiore flessibilita’ in entrata modificando l’articolo 18, secondo diversi docenti di diritto del lavoro, vi sono evidenze contrarie come il caso spagnolo o italiano. Su fronte dei salari, tema caro ale unioni sindacali, rispetto a Francia e Germania le buste paga lorde sono piu’ basse della media.

Di seguito il testo integrale dell’intervista:

1. WSI
Il progetto in stile flexy security voluto da Pietro Ichino e rilanciato da Monti-Fornero e’ fattibile nel sistema Italia e in un contesto di crisi?

Michele Tiraboschi
Sostenere che le imprese italiane non assumono i giovani perchè c’è l’articolo 18 mi pare una forzatura. Di articolo 18 si può discutere ma alla luce del sole senza usare il paravento dei giovani per una operazione di tutt’altro sapore. Oggi una impresa che vuole assumere un giovane con un contratto a tempo indeterminato senza articolo 18 lo può già fare attraverso il contratto di apprendistato. Che sia sbagliato parlare oggi, in fase di piena recessione, di articolo 18 è poi ancora più evidente. Dobbiamo dotare le imprese italiane di forza lavoro competente e di qualità piuttosto che alimentare insicurezza e tensioni sociali.

2. WSI
Quali costi comporterebbe per lo stato l’offerta di ammortizzatori sociali da affiancare all’assicurazione contro la disoccupazione finanziata dall’impresa? Le spese sociali in Danimarca rappresentano il 41% della retribuzione pretasse, contro il 27% dell’Italia.

Michele Tiraboschi
La proposta Ichino prevede in realtà che sia l’imprenditore a pagare il sostegno al reddito del lavoratore licenziato per cui non si porrebbe, almeno direttamente, un problema di maggiore spesa pubblica. Va peraltro detto che la proposta Ichino, che non condivido, sul punto dà una indicazione importante. Le imprese che licenziano e sono messe nelle condizioni di farlo dovrebbero comunque essere co-responsabilizzate nel sostenere la ricerca di un nuovo lavoro da parte dei lavoratori che hanno perso l’occupazione. Non pagando gli ammortizzatori ma almeno i servizi di formazione e ricollocazione professionale.

3. WSI
A chi va applicato l’articolo 18 in un mercato del lavoro ideale?

Michele Tiraboschi
L’articolo 18, in sè, non è una norma irragionevole. Dice che le imprese di maggiori dimensioni non possono licenziare in modo illegittimo o per motivi discriminatori. Se lo fanno devono reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, come se il rapporto non si fosse mai interrotto, e pagargli non solo le retribuzioni arretrate ma anche congrua una indennità per il danno subito.

Quello che non ha funzionato è l’irrigidimento della norma da parte dei giudici che hanno fortemente circoscritto l’area dei licenziamenti legittimi anche a fronte di condotte gravi del lavoratori o di reali esigenze economiche delle imprese. Se a questo si unisce la durata interminabile dei processi, con sentenze che reintegrano il lavoratore dopo molti anni dal licenziamento, si capisce perché l’articolo 18 sia visto malissimo dalle imprese costrette a pagare costi maggiori di quelli che la norma prevedeva.

4. WSI
Il progetto di diritto del lavoro unico da parte del ministro del Lavoro Fornero ha margine di successo?

Michele Tiraboschi
Io credo di no perchè si basa su una ipocrisia. Si chiama contratto unico ma le proposte sin qui presentate tengono in vita gli stage e il lavoro a termine, l’interinale e il lavoro a chiamata ecc. ecc. Quindi non è un contratto unico ma semplicemente un contratto a termine mascherato privo di tutele contro i licenziamenti. Se si vuole parlare di abrogazione dell’articolo 18 lo si faccia apertamente.

5. WSI
Ritardare all’inizio del quarto anno di anzianita’ di servizio la sua applicazione e’ una soluzione percorribile?

Michele Tiraboschi
Veramente lo è già oggi con l’apprendistato, un contratto a tempo indeterminato senza articolo 18 se non una volta terminata la fase formativa. Peraltro il contratto unico sono tre anni di prova lunga che non danno diritto al posto di lavoro stabile visto che l’impresa può sempre licenziare il lavoratore. Nel caso dell’apprendistato non sono tre anni spesi male perchè passati in azienda a formarsi. La formazione è sicuramente il migliore investimento per la stabilità occupazionale dei giovani.

6. WSI
Contratti di stage, collaborazioni a progetto e a termine vengono ancora abusati. Veramente basterebbe debellarli e applicare il contratto di apprendistato per ridurre subito i livelli di precarieta’ giovanile?

Michele Tiraboschi
Lo stage è stato fortemente limitato con la manovra estiva. Il costo del lavoro a progetto è stato innalzato e lo sarà ancora in futuro. L’apprendistato è invece una buona risposta perché opera in chiave di “placement”, agevolando cioè l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. L’impresa che usa l’apprendistato avrà forza lavoro più competente e preparata e dunque maggiormente produttiva. Il vantaggio qui è di tutti.

7. WSI
Sui licenziamenti da motivo economico od organizzativo, pare che il controllo giudiziale sul motivo stesso verrebbe sostituito dalla responsabilizzazione dell’impresa nel passaggio del lavoratore al nuovo posto. Ci puo’ spiegare meglio questo passaggio?

Michele Tiraboschi
L’impresa che vuole licenziare per motivi economici lo può fare ma si assumerebbe il costo delle misure di protezione del reddito del lavoratore per i tre anni successivi, 90 il primo anno, 80 il secondo e 70 il terzo. Qui il problema è che somme così alte sarebbero costi non sopportabili dalle nostre piccole e medie imprese e un incentivo per i lavoratori a non cercare una nuova occupazione o magari a cercarne una in nero.

8) WSI
In sintesi, come si puo’ riformare il lavoro per renderlo piu’ flessibile e “leggero” in entrata?

Michele Tiraboschi
Il primo passo è il dialogo sociale. Su questa materia non servono formule magiche calate dall’altro ma regole condivise tra gli attori sociali. Altrimenti ogni riforma rischia di rimanere sulla carta e di non essere effettiva, a maggior ragione in un Paese come il nostro dove 1/4 della economia è in nero. Chi propone il contratto unico ha in mente in dualismo tra stabili e precari ma dimentica o sottovaluta il fatto che c’è un problema ancor più grave in Italia che è il lavoro nero.