Milano – L’Italia non e’ la Danimarca. Nel paese scandinavo tutti pagano le tasse e non si sognerebbero mai di ingannare lo stato. Tuttavia val la pena tentare. Se non altro in Lombardia, dove popolazione e reddito pro capite sono gli stessi della Svezia.
Questo il ragionamento di Pietro Ichino, giurista e ordinario di Diritto del Lavoro alla Statale di Milano. E’ il primo a lanciare per davvero la suggestiva proposta di introdurre anche in Italia una “flessibilita’ sostenibile”, ossia un sistema che combini virtuosamente le richieste di flessibilita’ delle imprese con un’elevata protezione dei lavoratori in termini di ammortizzatori sociali, politiche attive e formazione professionale.
L’esponente del Partito Democratico, la cui proposta per rendere piu’ flessibile il lavoro garantendo ammortizzatori sociali ai licenziati e’ ritorna in auge di recente, sostiene che in Lombardia il gettito fiscale permetterebbe di rendere attuabile il progetto ambizioso.
Vista la sua indipendenza politica in materia fiscale, la proposta e’ sperimentare subito nella regione del nord il progetto “Flexsecurity”, con un nuovo codice del lavoro per riformare l’accesso al mercato occupazionale. Obiettivo dichiarato: combattere la precarieta’ diffusa tra i giovani e l’immobilita’ del mercato del lavoro.
“E’ molto diffusa l’idea che il modello della flexsecurity sperimentato nei Paesi scandinavi non sia suscettibile di essere trapiantato in Italia – dice Ichino – si dà il caso, invece, che la Lombardia abbia esattamente la stessa popolazione della Svezia ed esattamente lo stesso reddito pro capite”.
“Ora – continua il politico – dal 2001 ciascuna delle nostre Regioni ha una competenza legislativa e amministrativa piena in materia di servizi al mercato del lavoro; e il famoso articolo 8 del decreto-legge di Ferragosto consente la sperimentazione del modello flexisecurity anche a legislazione nazionale invariata, mediante la sola contrattazione collettiva.
In Lombardia, in particolare, la sperimentazione di questo modello consentirebbe di attirare investimenti – soprattutto stranieri – di alta qualità, offrendo agli imprenditori un “codice del lavoro” semplice, allineato ai migliori standard nord-europei, anche per quel che riguarda la flessibilità in uscita nel caso in cui in futuro sia necessario un ridimensionamento o la chiusura.
Ai lavoratori – e soprattutto ai più giovani, ai new entrants – si offrirebbe la prospettiva di un ingresso nel tessuto produttivo per la porta principale: tutti a tempo indeterminato, a tutti le protezioni essenziali, ma nessuno inamovibile; a chi perde il posto – conclude Ichino – un sostegno economico robusto e un investimento sulla sua professionalità, in funzione della
ricollocazione più rapida possibile.”
Bisogna pero’ invitare alla cautela. Secondo gli studi effettuati da think thank vari, l’Italia non e’ ancora pronta. La flexisecurity prevede una normativa permissiva in materia di licenziamenti, sussidi generosi in caso di disoccupazione, politiche efficaci di attivazione al lavoro.
Attualmente non ci sono i presupposti, in quanto un simile mercato espelle di frequente un elevato numero di lavoratori che devono non solo essere tutelati economicamente ma anche professionalmente, per salvaguardarli da un lato e incrementarne qualifiche e occupabilita’ dall’altro.
Ne deriva – sostiene un report dela Fondazione Bradolini – che e’ “necessaria l’assenza di ogni forma di segmentazione della forza lavoro in termini di tutela del welfare delle retribuzioni”, come anche rischi di intermittenza dell’attivita’, e accesso a corsi di formazione. “Requisiti del tutto assenti nel nostro Paese”.
Il modello di deregolamentazione del mercato del lavoro e’ stato per la prima volta discusso in Olanda e ha consentito di abbassare il tasso di disoccupazione in maniera notevole. Poi Danimarca e Svezia ne sono diventate i principali mandatari, attuandola al fianco di ammortizzatori sociali.
Garantire sussidi e una relativa stabilita’ delle condizioni di lavoro e di vita e’ il punto fondamentale perche’ il modello funzioni. In cambio di questi cuscinetti, al dipendente viene chiesto di cercare lavoro (in questo viene aiutato da agenzie statali) e accettare il primo impiego che trova nel suo settore di specializzazione.