di Alberto Savarese
Il buono pasto deve essere fiscalmente agevolato anche per i lavoratori part-time, nel senso che concorre a formare la base imponibile Irpef solo la parte eccedente i 5,29 euro giornalieri , non essendo necessario che l’orario di lavoro preveda il diritto alla pausa per il pranzo Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 118/E dello scorso 30 ottobre , superando un precedente orientamento ( vedi la risoluzione 153/E del 15 dicembre 2004) secondo cui “..ove l’orario di lavoro non preveda la fruizione della pausa pranzo, i buoni pasto eventualmente corrisposti da parte del datore di lavoro, non essendo destinati a realizzare una prestazione sostitutiva del servizio di vitto, concorreranno alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (e della base imponibile contributiva), al pari degli altri compensi in natura percepiti…” . Prima di entrare nell’esame specifico della suddetta risoluzione, occorre richiamare brevemente i principi generali della disciplina relativa al trattamento fiscale dei buoni pasto. Essa costituisce una deroga al principio generale di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente ( nel senso che tutte le somme percepite concorrono a formare il reddito ) stabilito dall’art. 51 del Tuir. In particolare la lettera c) dell’articolo 51 dello stesso Tuir stabilisce che “….non concorrono a formare il reddito le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi o, fino all’importo complessivo giornaliero di 5,29 euro, le prestazioni e le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione..”. Ciò comporta la conseguente detassazione delle prestazioni sostitutive del servizio di mensa e l’esclusione dei buoni pasto, nei limiti sopra indicati, dalla formazione del reddito di lavoro dipendente. Un vantaggio, come già accennato, prima destinato solo ai soggetti che osservavano un orario di lavoro che prevedeva una pausa per il vitto in quanto la fruizione di una pausa per il pranzo, secondo tale orientamento, costituiva condizione necessaria per l’applicazione dell’agevolazione. Tuttavia il progressivo affermarsi di varie forme di lavoro flessibili , sempre più lontane dai classici modelli di riferimento e sempre meno “cristallizzate” , ha fatto sì che fossero successivamente emanate delle norme che hanno portato all’allargamento del beneficio. In tal senso l’articolo 5, comma 1, lettera c del Dpcm del 18 novembre 2005 “sancisce” ufficialmente il cambiamento di rotta, prevedendo che”…i buoni pasto sono utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva, esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempi pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato..”. Un riconoscimento implicito del nuovo stato di cose che viene affrontato , nella risoluzione in esame, anche dall’Agenzia delle Entrate sotto l’aspetto tributario, nonostante l’ambito di intervento del provvedimento in questione sia formalmente estraneo alla materia fiscale. Di conseguenza, in considerazione di quanto previsto dal citato Dpcm, dello scorso anno, si arriva espressamente al superamento dell’interpretazione data con la risoluzione n. 153 del 2004, stabilendo che i lavoratori subordinati a tempo parziale, la cui articolazione dell’orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa per il pranzo, ove fruiscano di buoni pasto, sono ammessi a beneficiare della previsione agevolativa di cui all’articolo 51, comma 2, lettera c), del Tuir. Pertanto gli importi dei buoni pasto non concorreranno, quali compensi in natura, nei limiti dei 5,29 euro giornalieri, alla formazione della base imponibile contributiva e fiscale del lavoratore subordinato assunto con contratto a tempo parziale.