Economia

Lavoro: Bortolussi, quasi un precario su 2 ha solo la licenza media

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(Teleborsa) – “Quasi un precario su 2 ha, al massimo, la licenza media”. E’ questa la denuncia sollevata dal segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi, dopo la lettura dell’ultima analisi condotta dal suo Ufficio studi. “Su un totale di oltre 3.751.000 lavoratori senza un contratto di lavoro stabile – prosegue Bortolussi – oltre 1.708.400, pari al 45,5% del totale, non ha proseguito gli studi dopo aver terminato la scuola dell’obbligo”. Dati alla mano, quindi, la CGIA smentisce la percezione, molto diffusa nel nostro Paese, secondo la quale l’identikit del precario tipo è costituito da un giovane neo laureato/a. Quest’ultima categoria, sottolineano gli artigiani mestrini, è una piccola minoranza che incide, sul totale nazionale, solo per il 15,5% (pari ad un valore assoluto di 582.950 unità). Alla percentuale dei laureati va aggiunto un altro 1,1% (pari a 43.021 unità) costituita da lavoratori instabili che ha conseguito anche il diploma post laurea. A livello di macro area, invece, è il Sud a registrare la presenza più marcata di questi lavoratori flessibili. In termini assoluti sono quasi 1.320.000 e sono pari al 35,18% del totale nazionale. Seguono il Nordovest, con 935.133 (24,92% del totale), il Centro, con 813.627 precari (21,68% del totale) ed, infine, il Nordest, con 682.606 lavoratori flessibili (pari al 18,19% del totale). “Questi precari con basso titolo di studio – afferma il segretario degli artigiani mestrini Giuseppe Bortolussi – sono in questa fase di crisi economica quelli più a rischio. Nella stragrande maggioranza dei casi svolgono mansioni molto pesanti da un punto di vista fisico e sono presenti soprattutto nel settore del divertimento e della cura alla persona, in quello alberghiero, in quello della ristorazione e nell’agricoltura. Per questo ritengo che la formazione deve essere posta al centro di qualsiasi attività che abbia come obbiettivo la professionalizzazione di tutti e in particolar modo di questi lavoratori”. Ritornando ai dati, su un totale nazionale di 3.751.261 precari, è la Calabria, con il 24,7 %, a presentare il valore più alto se viene preso come indicatore l’incidenza percentuale dei precari sul totale degli occupati presenti in ciascuna Regione. Seguono la Sardegna (23,8%), la Sicilia (22,9%) e la Puglia (22,1%). Chiude la classifica la Lombardia che, nonostante registri in termini assoluti il numero più elevato, presenta la percentuale più bassa sul totale degli occupati: 12,9%. Per quanto concerne i settori produttivi più investiti dalla precarietà, al primo posto troviamo gli altri servizi pubblici e sociali (32,3%). Questo macro settore, sottolineano dalla CGIA, è composto da delle categorie lavorative molto eterogenee. In esse segnaliamo le attività artistiche, ricreative e di divertimento (gestione di cinema e teatri, gestione impianti sportivi e piscine, discoteche, sale giochi, stabilimenti balneari, ecc.). Le altre attività di servizi includono i sindacati, i partiti, le riparazioni dei computer ed elettronica, le lavanderie, i parrucchieri, le estetiste e le palestre. Le attività sociali alle famiglie, invece, includono il personale domestico e l’assistenza agli anziani. Non meno “investite” dalla precarietà è il settore alberghiero/ristorazione (31,1%) e l’agricoltura (27,7%). Le attività meno interessate dalla presenza di lavoratori flessibili sono la manifattura e l’energia che presentano un’incidenza percentuale sul totale degli occupati pari all ’8,7%. Infine, dalla CGIA fanno notare che l’incidenza dei lavoratori senza un contratto di lavoro a tempo indeterminato è pari al 16,3% sul totale degli occupati italiani. Al netto di quelli presenti nella Pubblica amministrazione, l’incidenza a livello nazionale si contrae al 13% circa.