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(WSI) – Per presentare il suo libro a Roma, ho
riletto il piccolo volume in cui Luca
Ricolfi ha riversato un grande lavoro:
una ricerca tra tutti i dati disponibili tesa ad
accertare se il celebre contratto con gli italiani
firmato da Silvio Berlusconi è stato rispettato
o no. La rilettura mi ha provocato
un sentimento di tenerezza per questo studioso
mite, certosino, scandalosamente imparziale,
ostinatamente proteso alla Verità.
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Me lo sono immaginato chino sulle carte
per mesi, costretto a scegliere a ogni passo
la statistica giusta, a distinguere tra «spirito» e «lettera» della promessa, per accertare
innanzitutto che cosa diceva davvero
il contratto, perché ce n’è
uno in formato light che Berlusconi
tiene ancora affisso
nel suo bagno di casa, ce n’è
uno nella forma verbale
che si ricava dalla registrazione
della puntata di Porta
a Porta in cui fu firmato, e
ce n’è uno nel formato hard
del programma elettorale vero
e proprio.
E mentre leggevo
tutti questi dati, i distinguo, le sottigliezze,
mentre scoprivo cose che neanche
sapevo sulle pensioni integrate al minimo o
sull’andamento triennale dei delitti, intorno
a me infuriava la campagna elettorale,
in cui non ho ancora trovato nessuno che
sia neanche lontanamente interessato a
quelle cifre. Non certo i candidati.
Lo stile
che stiamo adottando, soprattutto nei confronti
televisivi dove i numeri volano, è il
seguente: noi del centrosinistra scioriniamo
tutti i dati negativi dell’economia del quinquennio
(c’è solo l’imbarazzo della scelta);
quelli del centrodestra ribattono dicendo
che tutta Europa sta messa male e poi citano
altri dati positivi di cui siamo generalmente
ignari; al che noi del centrosinistra
ribattiamo che basta chiedere alla gente
che giudizio si è fatta della situazione perché
le statistiche non sono tutto (soprattutto
le statistiche degli avversari). E così via.
Qualche settimana fa, quando il libro di
Ricolfi venne anticipato, si sviluppò invece
un certo dibattito sui giornali. Destra e sinistra
lo tirarono per la giacchetta, ma almeno
si discuteva di numeri, e con una certa
approssimazione alla realtà. Il che mi aveva
fatto sperare in una campagna elettorale di
stile anglosassone. Questa attitudine, al primo
infuriare della battaglia, è completamente
scomparsa. E, se volete la mia impressione,
è scomparso anche l’interesse degli
elettori per l’accertamento della verità.
La verità è che ogni italiano la sua idea
se l’è fatta, se la sta facendo o se la farà, sulla
base delle sue cifre personali, dei
suoi guai personali,delle sue fortune
personali. In inglese si
chiama effetto «feelgood»:
se c’è il governo vince, altrimenti
perde. Al punto che
proprio il grande lavoro di
Ricolfi mi fa venire un
dubbio sulla premessa di
Ricolfi: che cioè il contratto
sia un buon modo di aprire un
dialogo oggettivo e riscontrabile
con gli elettori. Se c’è ancora in giro
chi può sostenere che è stato completamente
attuato e chi può sostenere che è
stato completamente disatteso, vuol dire
che neanche il contratto riesce a introdurre
la logica matematica nella battaglia politica.
«Il senso comune si muove nell’ambito
di tutto ciò che è direttamente intuibile e
non si lascia stordire dalle parole», scrive
La Capria citato da Ricolfi. Il senso comune
fece vincere Berlusconi, il senso comune
lo farà perdere. Il contratto è un istituto del
diritto privato, non pubblico.
PS: però un paio di dati ve li dò, non
resisto. Per l’Istat nel 2005 la forza lavoro è
diminuita di 118mila unità nel Mezzogiorno,
gli occupati sono diminuiti di 38mila
unità, e perfino quelli che cercano un lavoro
sono diminuiti di 80mila unità. La Campania
ha perso 52mila occupati, provocando
da sola il saldo negativo del Sud.
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