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La Terra non basterà più. Andare su Marte, necessità per la sopravvivenza dell’uomo

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ROMA (WSI) – Una casa su Marte? Non solo è una possibilità, ma diventerà presto un’esigenza. Per sopravvivere qui sulla Terra. Proprio così. L’International academy of astronautics ha creato un gruppo di ricerca con l’obiettivo di lavorare al primo “White cosmic study” dedicato all’esplorazione umana sul pianeta rosso. Lo studio definitivo sarà pubblicato solo nel 2015 ma un documento preliminare è stato presentato nei giorni scorsi al summit dei presidenti delle agenzie spaziali a Washington.

Ce ne parla Giancarlo Genta, il professore torinese a capo del team: “La nostra economia, in futuro, dipenderà dalle risorse extraterrestri. Certo, ci vorrà ancora del tempo ma, presto o tardi, dovremo cercare elementi utili altrove: sugli asteroidi, sulla Luna. L’umanità non può, e non deve, rimanere legata alla Terra per sempre. Bisogna creare una società che basata su molti pianeti. Il primo è Marte“. Sembrano parole uscite dalla penna di Ray Bradbury. Invece è lo scenario reale.

“Human Mars Mission”, missione umana su Marte, è il titolo dello studio. L’imperativo è cooperazione. Niente più rivalità. Sono sei i partner principali: Europa, Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone e Canada. L’obiettivo, però, è coinvolgere nel progetto sempre più nazioni, persino quelle che non si sono mai occupate di spazio, persino i Paesi in via di sviluppo: “Tante ricerche hanno già analizzato la fattibilità. Ma sono frutto del lavoro di singole agenzie spaziali, a cominciare dalla Nasa (l’ultimo, l’Human Exploration of Mars Design Reference Architecture 5.0, è datato 2009 ndr) che si è maggiormente occupata dell’argomento, fino al programma Aurora dell’Esa.

L’Accademia ha un’impostazione diversa: globale. Si parla di una ‘global human Mars mission’, cioè la missione non sarà lanciata da una singola agenzia, ma da diverse messe insieme. O se vogliamo, con un po’ di retorica, da tutta l’umanità. Il modello è la Stazione spaziale internazionale (ISS). Ci sarà spazio per i piccoli contributi e ognuno potrà costruire un piccolo pezzo. Questa però è già una fase successiva. Lo scopo adesso è suscitare un interesse collettivo per un’indagine dettagliata”.

Al momento “lo studio non è focalizzato sul design della missione”, precisa Maria Antonietta Perino, altra italiana membro del team, responsabile dei programmi di esplorazione in “Thales Alenia Space”: l’azienda che guiderà le prossime trasferte di ExoMars, nel 2016 e nel 2018, alla ricerca di vita prebiotica sul pianeta rosso. I tempi quindi sono ancora lunghi. E nonostante i grandi passi in avanti, non bisogna dimenticare che dagli anni Sessanta a oggi quasi due missioni su tre, fra quelle dirette su Marte, sono fallite.

“Compito degli esperti sarà identificare i requisiti e i progressi tecnologici richiesti. Le tecnologie necessarie coinvolgono diversi settori: dalla propulsione, al controllo termico, passando per la protezione contro le radiazioni e la comunicazione. Oggi molte delle competenze richieste sono disponibili, ma sono necessari progressi tecnici importanti: prima di tutto per la protezione dai raggi cosmici, poi per le risorse necessarie, senza dimenticare gli aspetti psicologici che gli astronauti dovranno affrontare.

Che cosa si farà dopo la prima volta? Settlement: colonizzazione. Mettere la bandierina e dire “sono arrivato prima” non basta più, ora bisogna imparare a vivere e lavorare su un altro pianeta. E Marte è ricco di risorse”.

Professor Genta, possiamo già parlare di una data? Quando l’uomo metterà piede su Marte?

“Parlare di date è molto pericoloso in questo campo. Di date ne sono già state fissate tante e alla fine si rischia di perdere credibilità”. L’idea è che per andare sul pianeta rosso ci vogliano ancora almeno venti o venticinque anni con una missione finanziata dalle agenzie spaziali. Un privato potrebbe tentare l’impresa anche prima. Ad esempio, “Mars One” (il progetto avviato nel 2011 dagli olandesi Bas Lansdorp e Arno Wielders ndr) promette di creare una colonia su Marte a partire dal 2023. Il loro scopo è non tornare più sulla Terra, stabilirsi lì. Noi invece, al momento, puntiamo a un viaggio esplorativo: di andata e ritorno. Inoltre, non possiamo prescindere da strategie già messe a punto dalle agenzie spaziali che si compongono di tre obiettivi: Luna, Asteroidi e Marte. Ci sono delle tappe che non si possono saltare: l’esperienza sul satellite naturale terrestre e la permanenza più lunga nelle missioni spaziali sono indispensabili per capire come si reagirà su Marte”.

Come mai tanto interesse per il pianeta rosso?

“Sono necessarie tre considerazioni: la prima è di carattere scientifico. Certe cose, con l’esplorazione robotica, sono impossibili da fare. Ne siamo sempre più consapevoli. Cercare la vita è molto difficile senza biologi e geologi che sul posto facciano le loro ricerche. C’è poi il discorso delle risorse. La nostra economia, in futuro, dipenderà dalle risorse extraterrestri. Certo, ci vorrà ancora del tempo ma, presto o tardi, dovremo cercare elementi utili altrove: sugli asteroidi, prima di tutto, poi sulla Luna e sul pianeta rosso. Infine, l’umanità non può, e non deve, rimanere legata alla Terra per sempre. Bisogna creare una società che ha base su molti pianeti. Marte è il primo. La sua superficie è uguale al totale di tutte le terre emerse sul nostro pianeta, quindi raddoppia lo spazio disponibile per l’umanità. Sono sicuro che nel futuro le persone vivranno sulla Luna, su Marte. E molto oltre”.

Una volta su Marte, sarà possibile ricreare le condizioni di vita che esistono sulla Terra?

“Terraformare Marte, cioè renderlo simile alla Terra, è possibile ma le tecnologie necessarie sono ancora lontane dall’essere sviluppate. Ci vorranno tempi lunghissimi. Invece vivere su Marte, anche se in condizioni disagiate, si può. Oggi il grosso problema, più che la permanenza, è il viaggio”.

Perché?

“Un esempio è la propulsione nucleare. Sul pianeta rosso si può andare in due modi: usando la propulsione chimica; o usando quella nucleare. Nel primo caso, per arrivare ci vogliono tra i sei e gli otto mesi. Con la propulsione nucleare ce ne vogliono quattro o cinque. Secondo me, è preferibile la seconda opzione perché durante il viaggio si è ‘immersi’ nelle radiazioni dello spazio interplanetario. Il propulsore nucleare è stato provato a terra negli anni Settanta, ma deve essere sviluppato e migliorato”.

Come sarà il viaggio?

“Il primo passo è arrivare nell’orbita terrestre: la parte che richiede più energia. Usando una vecchia metafora, è come se ci trovassimo sul fondo di un pozzo e dovessimo uscirne. Per farlo bisogna sviluppare vettori più grossi di quelli attuali. Niente di nuovo: si tratta di vettori della classe dell’Apollo americano, il Saturno V, e dell’Energia russo già creati negli anni ’70 e ’80. In orbita terrestre si costruisce il veicolo spaziale e si può passare alla fase successiva: il viaggio. Una volta arrivati vicino a Marte ci sono due alternative: o si frena con i motori, se si ha una propulsione sufficiente, o si frena aerodinamicamente con un passaggio nell’atmosfera marziana. A scendere sul pianeta è una capsula. Mentre la maggior parte della stazione spaziale rimane in orbita intorno al pianeta. Naturalmente, nel momento in cui si parte, bisogna già aver spedito con una finestra di lancio precedente tutto ciò che può servire agli astronauti: dall’habitat ai rover, i mezzi per spostarsi”.

Quanto dovrebbe durare una missione del genere?

“Sarebbe bello fermarsi quattro o cinque mesi per far tutto ciò che si vuole. Purtroppo non è possibile. La scelta è drastica: o quaranta o 500 giorni. Una via di mezzo è esclusa perché i pianeti – compresi Marte e la Terra – girano intorno al Sole e, quindi, le occasioni ottimali per il ritorno si verificano solo in questi archi temporali”.

Dagli anni Sessanta a oggi quasi due missioni su tre, fra quelle dirette su Marte, sono fallite. Qual è la percentuale di rischio accettabile per una spedizione umana?

“Non si può pensare di andare su Marte con la tecnologia attuale e fare una passeggiata. È una trasferta pericolosa. Nelle missioni Apollo si calcolava che il pericolo fosse del 10 per cento, mentre nelle missioni Shuttle scendesse all’uno, uno e mezzo per cento. Noi puntiamo all’uno per cento di rischio. Anche se, considerata la difficoltà, pure il dieci per cento potrebbe essere accettabile. Non esistono fasi delicate: quando si rimane nello spazio per due o tre anni ci sono rischi da tutte le parti. Certo, uno dei momenti più critici è sicuramente il lancio sia da qui sia da lì. Poi: l’ingresso nell’atmosfera marziana e terrestre. E ancora: che cosa succede se qualcosa va male durante il viaggio di andata? Sono tutte opzioni che devono essere studiate”.

Quali sono i costi?

“Il costo si aggira intorno ai 500 miliardi però divisi in vent’anni e fra tutte le agenzie spaziali partecipanti. Però attenzione: non sono soldi che buttiamo su Marte ma che si spendono sulla Terra e che vanno a rivitalizzare l’economia del nostro pianeta”.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Repubblica – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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