(WSI) – Intorno alla cosiddetta “ripresina” italiana continua a agitarsi un clima che non è proprio di fiducia e di entusiasmo. L’idea che sia in corso una ripresina italiana si basa, come si sa, sul fatto che secondo l’Istat nel primo trimestre dell’anno ci sarebbe stata una crescita dello 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente. Scrivo “ci sarebbe stata” anche se l’Istat ha comunicato ufficialmente il dato perché più di un economista non riesce a capire da dove diavolo è saltato fuori quello 0,4 per cento di crescita. Uno 0,4 per cento che, tanto per fare confronti, è identico a “tutta” la crescita fatta nel 2002 e ripetuta nel 2003. Insomma, si dice, nel primo trimestre di quest’anno l’Italia è cresciuta esattamente come era cresciuta nell’arco di tutto il 2003 (e anche del 2002, i dati sono identici).
Ma, a parte i dubbi che questa ripresina ci sia veramente e che abbia le dimensioni annunciate dall’Istat (i dati definitivi usciranno solo il 10 giugno), bisogna prendere atto del fatto che non tira un’aria molto buona intorno alle possibili sorti della nostra crescita. E questo, purtroppo, per tre buoni motivi:
1 – Le recenti rilevazioni su andamento delle vendite e fiducia dei consumatori hanno rilevato sia una crisi dei consumi che una crisi della fiducia. Ammesso che la ripresina esista, insomma, non sembra avere il respiro lungo. Ha più l’aria, per essere sinceri, di una sorta di “rimbalzo statistico”. E in effetti dobbiamo registrare a questo proposito una serie di osservazioni.
I centri studi di due banche italiane (Intesa e Unicredito) hanno detto entrambi, sia pure con parole diverse, che per il secondo trimestre dell’anno (questo che stiamo vivendo, peraltro) c’è da attendersi non un rafforzamento della famosa ripresina quanto un suo rallentamento, proprio a causa di consumi che non tirano e di fiducia che non cresce. Inoltre, proprio ieri pomeriggio è arrivato l’ultimo report di Global Insight (uno dei più grandi centri di previsione del mondo) e la crescita attribuita all’Italia per l’intero 2004 è di appena lo 0,8 per cento.
Se Global Insight ha ragione e se la crescita del primo trimestre è stata davvero pari allo 0,4 per cento, allora si deve concludere che a fine marzo avevamo già fatto metà della crescita del 2004. Da adesso in avanti (è questo che volevano dire Intesa e Unicredito?) si viaggia sul piatto, con crescite infinitesimali. Insomma, se tutto ciò è vero, la ripresina italiana sarebbe già finita, di fatto, a marzo, quasi due mesi fa.
2 – Inoltre, bisogna mettere in conto che nella seconda parte dell’anno (cioè fra poche settimane) comincerà a rallentare anche l’economia mondiale perché sia l’America che la Cina devono rallentare un po’ la loro corsa. E quindi la ripresina italiana (forte o debole che sia) dovrà andare a fare i conti con una congiuntura mondiale che non sarà più brillante come ora. E, visto che la nostra ripresina sembra essere stata tirata esclusivamente dalle esportazioni (i consumi interni sono addirittura in calo), è del tutto evidente che non potrà che rallentare, per magari spegnersi del tutto nel giro di qualche mese. Questo scenario, peraltro, sembra essere coerente con quanto si ricava dall’analisi dei report di Intesa, Unicredit e Global Insight.
3 – Infine, c’è la questione politica internazionale/petrolio. In questi giorni in giro c’è chi si affanna a dire che il petrolio non è più così importante per le nostre economie e che quindi può fare quello che vuole. Insomma, ce la caveremo anche se gli arabi e l’Opec faranno un po’ i cattivi. Ma, giustamente, c’è chi fa osservare che non è proprio così. Anche se oggi le cose sono messe meglio di venti o trenta anni fa, rimane il fatto che è stato calcolato che se i prezzi del petrolio rimangono al livello attuale ci sarà nell’area Ocse (26 paesi più industrializzati del mondo) un calo della crescita prevista dello 0,4 per cento e una crescita dell’inflazione dello 0,5 per cento. Insomma, si frena.
Ma c’è di più. L’area asiatica (che in questi mesi ha fatto da locomotiva all’economia mondiale) è molto più sensibile di noi ai prezzi del petrolio. E’ stato calcolato che un aumento di 10 dollari nel prezzo del petrolio provoca in Asia una diminuzione della crescita dello 0,8 per cento e un aumento dell’inflazione dell’1,4 per cento. Anche qui, è ovvio, l’aumento del prezzo del petrolio porta a una minor crescita e una maggior inflazione. Cosa che probabilmente potrebbe richiedere misure restrittive di tipo monetario, con la conseguenza di avere una crescita ancora minore.
Per concludere, la ripresina italiana forse c’è, forse non c’è, forse c’è stata e è già finita, ma, intanto, l’economia occidentale è come dentro una spirale di inflazione-petrolio-minor crescita che potrebbe assumere anche dimensioni allarmanti se proseguiranno le attuali tensioni internazionali intorno al greggio.
Di fatto, a voler essere osservatori attenti, questa ripresina si sta già spegnendo sotto i nostri piedi mentre ne stiamo parlando. E questo, in un certo senso, non è nemmeno male, visto che era comunque una ripresina “cattiva”, tutta basata sulle esportazioni, e non su una decorosa crescita dei consumi interni.
Peccato, però, che mentre la ripresina “cattiva” si va spegnendo, quella “buona” (fatta di famiglie fiduciose che tornano a consumare e di imprese che tornano a investire) non si vede all’orizzonte. Come mai? Sono, siamo, tutti lì in attesa della famosa “scossa”. Ma la scossa non c’è.
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