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LA RIPRESINA CHE NON SERVE A NIENTE

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(WSI) – In quel miliardo di talk show che ormai rallegra le nostre giornate televisive vari esponenti del governo e della maggioranza continuano a annunciare l’arrivo, finalmente, della ripresa, della fine delle tribolazioni. E, naturalmente, l’inizio di una nuova era. Il tutto grazie a quella ridicola riduzione delle tasse varata qualche settimana fa.

Si comportano esattamente come si sono comportati negli ultimi tre anni, annunciano ogni mese l’arrivo della ripresa per il mese successivo (sbagliando tutte le volte). Adesso questi annunci sono confortati anche dall’opinione prevalente degli economisti che intravedono per l’Italia 2005 l’arrivo, appunto, di un soffio di ripresa. Se tutto va bene, e se non ci saranno incidenti, si andrà all’1,6-1,8% di crescita.

Quello che il governo non dice sono due cose:

1) La ripresa consiste solo in una boccata d’ossigeno. Quella in arrivo non è certo una sorta di nuova primavera. Siamo sempre dentro il nostro autunno, ma con un filo (forse) di crescita in più. Poco di cui andare veramente orgogliosi. In compenso non si dice che persino questo soffio di aria fresca è abbastanza a rischio. Per rendersene conto basta dare un’occhiata al petrolio, al dollaro, all’economia americana, allo scenario politico internazionale. Insomma, forse staremo un po’ meglio. Ma un po’, solo un po’.

2) Questa ripresina (anche se dovesse arrivare sul serio) non risolve alcuno dei nostri problemi. E cioè la nostra relativa stagnazione nel mercato internazionale. La nostra quota di mercato nel commercio mondiale è stagnante da anni, ferma e immobile come un paracarro. E questo per un paese che vive (o dovrebbe vivere) molto di export non è certo bello. La ripresina (eventuale) non sposta in niente il nostro incessante declino industriale, dolcino a fronte del quale nulla si vede di nuovo, di minimamente eccitante (non un rilancio del turismo alla grande, non un’informatizzazione del paese come si deve, ecc.).

La scuola e l’università italiana rimangono quei vecchi baracconi che erano, il mercato è un mercato nel quale la concorrenza viene centellinata come se si trattasse di una pericolosa droga, e gli industriali (alla fine) si convincono che la cosa migliore da fare è mettersi a vendere qualcosa di “sicuro” (telefonate, energia, passaggi autostradali, ecc.). Insomma, il paese invecchiato e un po’ spento che abbiamo conosciuto in questi anni, non cambia. Rimane sempre lì, in attesa che qualcuno faccia qualcosa. Non una rivoluzione, per carità. Basterebbe qualche buon cambiamento.

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