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LA RIPRESA? UNA QUESTIONE DI FEDE

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Le Borse continuano a puntare al rialzo anticipando un’imminente ripresa economica di cui però al momento non si vedono ancora le tracce. E’ proprio su questa apparente contraddizione, destinata alla lunga a ricomporsi, che si gioca l’attuale operatività: e a guidarla è la fede, non la ragione. Ragionare non serve, anzi, fa male, dicono i nostri sales; bisogna solo confidare in una ripresa che se non giungerà nei prossimi mesi, ci farà comunque felici nel 2004.

Dunque è inutile storcere il naso su dati economici il più delle volte per nulla
convincenti, su indicazioni dal mondo aziendale che lasciano intravedere una domanda ancora fiacca o sulle numerose incognite della politica internazionale, dall’Iran alla Palestina.

Sebbene queste aree di crisi contribuiscano a mantenere le quotazioni del greggio su livelli incomprensibili rispetto alla debole situazione
congiunturale (il Brent è lentamente tornato a quota 29 dollari il barile, il West Texas ieri addirittura ha toccato i 32,5 dollari il barile, massimo dell’ultimo trimestre e +35% circa dai livelli di un anno fa: benissimo per combattere
lo spettro della deflazione, un po’ meno per crescita e conti aziendali), la comunità finanziaria non le reputa il preludio di un nuovo Iraq, stavolta nelle vesti del regime degli ayatollah.

Se avevamo fede dopo l’11 settembre,
perché non averla anche oggi, in una situazione per molti versi simile? Chissà, magari stavolta, pur con tutti i rischi del caso, finirà meglio. Sarà, ma non possiamo fare a meno di notare, con qualche disappunto, che a
parte i mercati che salgono, sull’azionario come sull’obbligazionario, per il resto non c’è molto di cui gioire. Ieri sera la FED ha reso noto il consueto rapporto sulla situazione congiunturale, in vista dell’incontro di politica monetaria di fine mese; ebbene, nonostante l’ottimismo di fondo di Greenspan (forse obbligato), il
messaggio era che nei vari Distretti emergevano ben pochi segnali di un’accelerazione della crescita.

Le parole più ricorrenti nel Beige Book, fino alla noia, erano “sluggish”, “weak”, “soft” o, nel migliore dei casi, “mixed”, ed
erano riferite ai livelli di attività industriale come al mercato del lavoro o all’andamento dei consumi. Solo il comparto immobiliare e i relativi rifinanziamenti erano accompagnati da aggettivi dal tono più rassicurante, ma
proprio questo divario di giudizi mette chiaramente in luce i rischi di un artificioso sostegno alla domanda, tramite appunto l’arma dei tassi e la leva sulla proprietà immobiliare.

Un meccanismo simile mantiene la sua efficacia
solo se i prezzi delle case continuano a salire e/o i tassi a ridursi, e in quest’ultimo caso siamo oramai alle battute finali di una lunga discesa. Per quanto riguarda investimenti e occupazione tutto invece langue, nonostante la fine del conflitto iracheno.

Eppure i mercati hanno ugualmente reagito bene a questi commenti, dando per ormai certo il taglio di un altro quarto di punto a fine mese, e assegnando crescenti probabilità persino all’ipotesi del mezzo punto secco. Reazioni quasi indifferenti hanno d’altra parte suscitato anche i recenti commenti dei vertici di aziende come Motorola, Nokia, Dell e Texas Instruments sull’andamento della domanda nei mesi a venire; la
caduta iniziale di Motorola ieri è già stata in parte riassorbita (+3,4%) e lo stesso potrebbe avvenire nei prossimi giorni con i titoli Texas, sotto pressione dopo il profit warning (-8%).

Tutto ciò riflette un clima molto più disteso,
ormai proiettato sulla “ripresa del 2004”, se mai quella del 2003 non dovesse realizzarsi. Miracoli della liquidità? Forse. Anche nei movimenti relativi, ora che la psicosi del rialzo sta diffondendosi, i comparti più ciclici e più
volatili guadagnano la testa delle preferenze degli investitori (o forse proprio qui fioccano le ricoperture, dopo tanto pessimismo); così, risparmio gestito e banche battono difensivi e telefonici, nonostante la discesa dei tassi e
gli scarsi afflussi di risorse sul comparto azionario non depongano a favore di un brusco riavvio di redditività nei
due comparti.

Proprio in questi giorni l’ABI ha reso noto l’andamento dei margini bancari in termini puntuali, cioè di differenza tra i tassi medi attivi e quelli passivi; ebbene, in aprile era scesa appena sotto la soglia del 4%, dal
4,3% di un anno prima, con i tassi sui depositi che sono apparsi più rigidi rispetto a quelli attivi. Se questo è il trend in un contesto di tassi decrescenti, viste anche le prospettive poco allettanti in termini di volumi, non c’è da stare affatto allegri per i conti delle banche nei mesi a venire.

Eppure proprio questo settore è tornato ora di
moda, peraltro in una fase che vede numerosi gruppi, anche quotati, alle prese con situazioni di pesante dissesto finanziario che si rifletteranno sulla qualità del credito. Ma, come dicevamo, in questo momento ragionare fa male;
i mercati ricompensano solo chi ha fede, e la fede implica credere nella ripresa pur senza vederla.

Perciò, se nel pomeriggio le richieste di sussidio dovessero risalire e le vendite al dettaglio ristagnare ancora, non stupitevi se
Wall Street e le altre Borse continueranno imperterrite a salire. E soprattutto non fatevi prendere dall’ansia di voler vendere su brutti dati…

*Michele Pezzinga e’ capo strategist di Eptasim.