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LA RINASCITA DI KAITECH, NUOVA STAR DEL LISTINO

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(WSI) – Per molti mesi il titolo Carnet è stato una specie di Calimero del listino, piccolo e nero, e dal quale ovviamente tutti stavano un po’ alla larga. Poi, nella scorsa settimana, il boom: il titolo è salito del 70-80 per cento, una sorta di sexy-star di piazza Affari, con scambi anche decentemente sostenuti.

Che cosa ha trasformato il piccolo Calimero in una specie di super-velina ricercata da tutti? L’incontro con un mago o con una principessa? No. Soldi, soltanto soldi. E un cambio di nome e di strategia.

Ma andiamo con ordine. Carnet è una delle tante società che nell’era della new economy si lanciano in Borsa. E la Cardnet, che opera sostanzialmente nel mercato delle smart card (quelle che si trovano nei cellulari e nelle carte di credito), viene fondata da Sergio Camilleri negli anni Novanta perché il giovanotto aveva questa passione. Sulle smart card, peraltro, aveva fatto anche la sua tesi di laurea a Londra nel 1994 (anno che coincide con l’avvio dell’attività di Carnet).

Il collocamento in Borsa avviene nella primavera del 2001 e non va affatto male. In totale frutta 22 milioni di euro, che sono comunque una bella cifra. L’azienda, fra il 1994 e il 2001 guadagna dei soldi. E’ insomma una buona impresa, non uno dei tanti bidoni che in quel periodo storico si abbattono sulla Borsa, e sui risparmiatori.
Poi c’è la svolta, il colpo della strega. Nel 2002 comincia il biennio nero dei chips. Saranno due anni durissimi, anche per le più titolate aziende del settore. Carnet, ovviamente, non riesce certo a fare di meglio. E quindi l’azienda comincia la sua trasformazione in Calimero della Borsa. Ma non è ancora finita. Accade di peggio e si tratta di un peggio di quelli totali, quasi definitivi. In pratica tutto il ricavato dell’Ipo (22 milioni di euro) viene bruciato da una sola, disgraziatissima iniziativa.

“Mai più dice oggi Sergio Camilleri mi avventurerò a fare una start-up, una nuova iniziativa. Se devo allargarmi, preferisco comprare un’azienda che già esiste, magari un po’ malandata e poi rimetterla a posto. Ma mai più mi metto con le mie mani a fare qualcosa di nuovo”.
E lo si può capire. L’iniziativa a cui si riferisce è uno stabilimento in Sardegna per la produzione appunto di smart card. Nei progetti della società quello stabilimento doveva servire per fare un salto di dimensione, per diventare, di colpo, un’azienda importante. Ma le cose non sono andate affatto così. Per una ragione o per l’altra questo stabilimento non è mai riuscito a funzionare bene. Fra l’altro è diventato pronto proprio all’inizio del 2002, quando ormai il mercato era del tutto compromesso.

Oggi, a pochi mesi di distanza da quell’avventura, lo stabilimento sardo non c’è più, chiuso, fatto fuori. Ma, a conti fatti, quella sola avventura di crescita, con la quale Carnet immaginava di allargarsi e di molto, è costata alla fine 24 milioni di euro. Una vera e propria catastrofe per un’azienda delle dimensioni non enormi come Cardnet, che quest’anno, rimesse a posto le cose, fatturerà poco più di 30 milioni di euro.

Di fatto, già allora, dopo quella botta, la società appare come morta. Vaga sul listino, ma molti la considerano appunto già defunta, una sorta di relitto di quella stagione un po’ folle che conosciamo come new economy.

Però Cardnet (o Camilleri) è un soggetto con più di una vita. Infatti, si prendono contatti con le banche per sistemare un po’ i troppi debiti che si erano accumulati sui conti della società, si trova un’azienda con la quale ci sono delle sinergie (la B2B solutions) e si organizza una fusione. A questo punto si cambia anche nome alla società, che non è più Cardnet ma Kaitech. E, cosa fondamentale, si vara un aumento di capitale da 10,7 milioni di euro. E, cosa decisamente ancora più importante, l’azionista di maggioranza (la famiglia Camilleri) ci mette i primi cinque milioni di euro.

E’ a questo punto che il mercato sembra impazzire e che fa volare le azioni Kaitech del 20 per cento al giorno fino a accumulare nel giro di una settimana una crescita netta che sta fra il 70 e l’80 per cento. Una crescita probabilmente anche esagerata e determinata dal desiderio di piazza Affari di provare a puntare su un’azienda che, a questo punto e dopo le legnate prese, sembra avere buone possibilità di essere una buona azienda.

Il fatturato previsto per quest’anno, lo abbiamo già detto, dovrebbe essere di 32 milioni di euro, il mercato dei chip non è mai andato così bene e probabilmente andrà bene anche nei prossimi anni (nei chip ci sono onde lunghe), il risultato economico per quest’anno non sarà ancora positivo, ma dovrebbe esserci un Mol di circa 2 milioni di euro. Nel 2005, poi, i conti dovrebbero tornare infine in attivo. La società esporta il 45 per cento del suo fatturato (anche in America, dove c’è una filiale di vendita, e in Asia).

Insomma, Calimero è diventato grande. Non è più piccolo e nero. E l’anno prossimo dovrebbe addirittura guadagnare qualche soldo.

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