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LA RICERCATRICE DELUSA DALL’ITALIA: «VOLO NEGLI USA, QUI NON HO FUTURO»

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(WSI) – È stata di parola. Rita Clementi è volata a Boston. Da giovedì lavorerà in un importan­te centro medico. Ha lasciato l’Italia, così come aveva promesso, la ricercatrice precaria di Pavia che ha scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per denunciare lo stato comatoso della ricerca nel nostro Paese e per raccontare la decisione di abbandonare l’Italia.

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Non è bastata a fermarla neanche un’offerta giunta all’ultimo minuto da un prestigioso centro di ricerca di Padova. Troppo tardi: «Ho dato la mia parola agli americani. Ora vediamo cosa succede. Non escludo un ritorno. Non è detto poi che non si possa collaborare tra Boston e Padova. D’altronde ricerca vuol dire collaborazione». Così, tirandosi dietro il suo trolley, dopo un ultimo bacio al marito e ai tre figli, la scopritrice dell’origi­ne genetica di alcune forme di lin­foma maligno ha girato i tacchi ed è entrata dentro l’aeroporto di Linate. Un volo low cost, via Londra per spendere meno, e le sue speranze volano Oltreoceano.

ITALIA ADDIO – Sul volo lavorerà a maglia, come fa sempre durante i lunghi viaggi. In valigia tanti articoli da leggere, qualche libro e il computer con dentro i file con quella ricerca di tutta una vita, bocciata in Italia ma che negli Usa le prospetta un futuro più certo. Addio università italiana, addio baroni, addio raccomandati. Nessun rancore, un po’ di rabbia: «Cosa mi mancherà dell’Italia? Be’ a parte la mia famiglia, ma questa fa parte della mia vita personale, gli Stati Uniti sono un paese con tanti bei posti da visitare. Pardon, volevo dire l’Italia».

Un bel lapsus quello di Rita. Un altro cervello cacciato dunque, non come erroneamente si dice “in fuga”. Come Rita, senza scrivere al presidente, sono da tremila a seimila gli studiosi italiani che silenziosamente vanno a far ricca ricerca e pil di altri paesi. Così all’Italia che spende 500mila euro in media per portare alla laurea uno studente (dalla scuola primaria all’università), rimane solo il compito di preparare costosissimi “cavalli di razza” della ricerca.

SISTEMA MAFIOSO – «Vado via con rab­bia, con la sensazione che la mia abnegazione e la mia dedi­zione non siano servite a nulla. Vado via con l’intento di chie­dere la cittadinanza dello Stato che vorrà ospitarmi, rinuncian­do ad essere italiana», aveva scritto polemicamente nella lettera. «Signor presidente, la ricerca in questo Paese è ammalata». Di cosa? E la risposta è la solita: «Mancanza di meritocrazia e di fondi, meccanismi di promozione di carriera legati all’albero genealogico o alla simpatia».

All’università di Pavia le sue parole non sono state prese bene. «Qualcuno si è lamentato. Dice che ho denigrato l’ateneo, ma ho detto solo la verità». Su Corriere.it oltre 400 messaggi: tanta solidarietà, tanti auguri e qualche sparuta critica. Ma un blog è arrivato a pubblicare i verbali dei due concorsi nei quali la dottoressa è stata “bocciata”: «Avete confrontato i curriculum dei candidati? E sono limpidi i concorsi in Italia?» risponde Rita senza scomporsi. «Il sistema antimeri­tocratico danneggia non solo il singolo ricercatore precario, ma soprattutto le persone che vivono in questa nazione».

Lei è stata danneggiata? «Non posso rispondere a questa domanda». Ha paura di ritorsioni? «Assolutamente sì». Incredibile, eppure stiano discutendo di università non di mafia. «I concorsi universitari erano dunque celebrati, discussi e decisi molto prima di quanto la loro effettuazione facesse pensare, a cura di commissari che sembravano simili a pochi “associati” a una “cosca” di sapore mafioso». Così scriveva il giudice Giuseppe De Benedictis in una sentenza sui concorsi truccati all’università. A questo punto buona fortuna. A lei e anche a chi resta, s’intende.

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