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‘LA REPUBBLICA’ NON AMA PRODI

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(WSI) – I giornalisti scrivono quel che possono, e hanno le loro fisime e talvolta persino le loro idee, ma spesso i giornali interiorizzano un’antipatia, un’inimicizia, e ne fanno una seconda pelle, entrano in campagna.

E’ il caso del rapporto tra Repubblica, la tribuna della sinistra italiana, e il professor Prodi: una pugnalata al dì. Un giorno il direttore stila un editoriale-circolare dai toni molto allarmati: la sinistra si sta autodivorando, il voto divisivo di astensione sulla riforma costituzionale della maggioranza è inaccettabile, il ritardo di Prodi nel capire e guidare la sua coalizione è scandaloso, riunitevi negli stati generali degli eletti di centro-sinistra e cercatevi un capo che decida per tutti in sintonia con il vostro popolo.

Un altro giorno Francesco Merlo picchia in testa al professore, una sua vecchia e coraggiosa predilezione fin dai tempi della di lui gloria politica, negli anni in cui il Corriere della Sera faceva opposizione al primo governo dell’Ulivo; e lo sfruculia, e gli aizza contro il radicalismo referendario a cui Prodi oppone un banale inciucismo vecchia maniera (“il popolo taccia, ci pensiamo noi a unire gli italiani”).

Se l’Ulivo fa ancora un passo verso la famosa Federazione, delimitando puntigliosamente i poteri delegati dai partiti al solito vecchio carrozzone e rinviando a tempi migliori le primarie, scartando la lista unica prodiana alle regionali, ecco Francesco Rutelli che su Repubblica detta sicuro il suo pensiero: gli abbiamo approntato gli strumenti come ci aggrada, ora Prodi la smetta di fare il galletto anti-partito e faccia il leader, se gli riesce.

E’ vero che Prodi certi maltrattamenti se li chiama, perché da tempo non ne azzecca una ed è percepito come un blocco o un tappo, anche generazionale, su un’oligarchia che lo sceglie come compromesso nella battaglia dei capi veri, ma poi non ha alcuna intenzione di fornirgli le chiavi della casa comune.

Ma ci dev’essere dell’altro, come sempre quando i giornali, invece di spiegare la politica e partecipare lealmente con la loro faccia al conflitto, lo alimentano con vigorose dissimulazioni, mezze verità, e celebrazioni del non-detto.

(Leggere anche la lettera che Romano Prodi ha inviato al quotidiano La Repubblica: vedi PRODI: LE MIE CONDIZIONI ALL’ ULIVO).

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